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IX Congresso federazione "Castelli-Litoranea-Colleferro", Lanuvio 2013, manifesto


IX Congresso federazione "Castelli-Litoranea-Colleferro", Lanuvio 2013, Introduzione

Lanuvio 29 Novembre – 1 dicembre 2013
Relazione introduttiva
Marco Bizzoni

Apriamo questo nostro Congresso esprimendo tutta la nostra solidarietà ai cittadini e cittadine Sardi e Calabresi che in questi giorni stanno lottando per cercare di ritornare ad una normalità di vita, in molti casi dopo aver perso le proprie cose, a volte il lavoro, ed in taluni tragici casi anche gli affetti.
Così è diventata l'Italia, un luogo dove si può morire perchè si è in casa propria mentre piove.
Un Paese dove la grande stampa nazionale di fronte a due tragedie sceglie di informare su quella di più tragica spettacolarità. Dove l'informazione rapidamente si conclude nello scaricabarile polemico delle responsabilità. Dove nessuno è quindi responsabile.
Ma noi sappiamo chi sono i responsabili.
Sono gli stessi che hanno praticato e consentito l'avvelenamento della terra in Campania.
Gli stessi che disdettano i contratti nazionali dei lavoratori.
Gli stessi che in questi anni ci hanno predicato che chi non si arricchiva era per sua incapacità.
Gli stessi che oggi ci dicono che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e che quindi adesso bisogna pagare pegno con l'austerità.
Noi sappiamo chi sono i responsabili, essi sono coloro che ritengono la ricerca del massimo profitto l'orizzonte ultimo dell'uomo.
Essi sono coloro che vogliono far credere che capitalismo e globalizzazione siano eventi naturali, proprio come quei temporali che hanno devastato Calabria e Sardegna

Ma un temporale per quanto potente è solo acqua e l'acqua scorre se le è lasciato libertà di farlo, altrimenti diventa una forza incontrollata che schianta, travolge, distrugge ciò che la ostacola così come è avvenuto a causa delle speculazioni edilizie, dell'avidità di chi realizza infrastrutture, dell'incuria nella messa in sicurezza del territorio causata dalle politiche di restrizione di bilancio degli enti locali portate avanti in questi anni.
Sempre più il capitalismo mostra il suo volto predatorio e distruttivo e in tal modo conferma le previsioni di Marx, “Socialismo o barbarie”. O la classe operaia riuscirà a sconfiggere il capitalismo o si troverà coinvolta nella comune rovina della devastazione della terra.
Ogni qualvoltà accadono tragedie di questa portata qualcuno parla di fatalità, qualcuno della forza catastrofica della natura, noi diciamo che quegli eventi sono causati dalla volontà di profitto del capitale che consuma territorio senza curarsi della precarietà idrogeologica che si lascia alle spalle.
Per questo riteniamo che sia fondamentale sottrarre le risorse naturali ad ogni possibile tentativo di riduzione a merci e ci battiamo e continuiamo a batterci affinchè i beni comuni ed i servizi essenziali non siano soggetti a processi di privatizzazione.
Vogliamo inoltre evidenziare che alcuni beni comuni, come i processi di conoscenza, sono elementi essenziali per la democrazia. La cultura deve essere un patrimonio universale che deve essere garantito a tutti attraverso un diritto all'istruzione obbligatoria per tutti, istruzione gratuita, pubblica, di massa e non selettiva.

L'opinione pubblica ritiene, oggi, che la politica sia lo strumento con cui i politici si fanno gli affari propri. In questa ottica i partiti servono solo a praticare l'esclusiva autoaffermazione di potenza personale di qualcuno. Tuttavia l'opinione pubblica si divede in quattro grandi raggruppamenti i tifosi del mito berlusconide, i tifosi del mito della sinistra al governo, i tifosi dello sfascio tutto il sistema politico ma non cambia mai niente, Quelli che non vedono più nella politica il senso di riscatto delle masse popolari che essa contiene e quindi rinunciano sempre più a contare, decidere votare.
Dobbiamo ricostruire una proposta politica per il futuro. Dobbiamo ridare allo strumento partito il senso ed il significato che assegna ad esso la costituzione cioè di essere strumento per l'attuazione del principio democratico e della sovranità popolare.
Mentre oggi non solo essi sono sempre più comitati elettorali e di potere ma determinano la vita del paese all'interno di un'unico orizzonte senza prospettive alternative. Cosa differenzia il governo PD - NuovoCentrodestra da quello dal precedente PD – PdL, da quello che ci ha portati alle elezioni, PD- Pdl- Udc, dai precedenti governi Berlusconi. Soltanto la declinazione del modo di rispettare le politiche di austerità che questa europa neoliberista impone.
Noi, per dirla con le parole di Berlingur, "Pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza.
I trattati europei sono divenuti lo strumento politico della realizzazione dell'ideologia neoliberista. Riteniamo che sia necessario abbattere il carattere a-democratico con cui l'Europa si è strutturata e procedere ad una sua rifondazione. Per far questo crediamo che sia immediatamente necessario costruire una politica di opposizione all'applicazione dei trattati Europei, una politica che tuteli coloro a cui oggi, concretamente, vengono fatte pagare le politiche monetariste dell'Unione europea, i Lavoratori.

Tutte le forze politiche presenti nel Parlamento Italiano parlano dell'importanza del lavoro.
Ma, nel frattempo, mentre ne parlano sui giornali, in televisione, ed in ogni luogo, migliaia di lavoratori vengono espulsi dal mercato del lavoro e devono ricorrere alla cassa integrazione, centinaia di piccole imprese sono costrette a chiudere la propria attività perchè per rispettare i dettami dell'europa l'amministrazione pubblica nel suo complesso paga i suoi debiti con mesi di ritardo. La disoccupazione giovanile è tornata ai livelli degli anni 70 e il reddito di due lavoratori non riesce più ad avere il potere di acquisto che negli anni settanta avevano le famiglie monoreddito.
Noi non siamo equidistanti tra le ragioni dell'impresa e quelli della classe operaia e dei lavoratori.
Per noi, centralità del lavoro, non solo significa essere schierati dalla parte dei lavoratori e volersi assumere il compito della loro rappresentanza politica, ma anche attivarci concretamente per realizzare politiche in grado di portare il nostro Paese e quindi i lavoratori fuori dalla crisi.
É questo il motivo per cui abbiamo presentato un piano nazionale per il lavoro chiedendo che è le risorse economiche dell'Italia siano usate per realizzare almeno un milione e mezzo di posti di lavoro, investendo in politiche industriali che riqualifichino le produzioni e le rendino ecologicamente sostenibili. Investendo nel risparmio energetico, nella messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico e sismico, nella produzione agricola di qualità. Politiche del lavoro che assicurino il diritto alla salute, riducendo le liste di attesa, che assicurino il diritto all'istruzione dalla scuola dell'infanzia all'università. Politiche che abbiano il segno della riduzione dell'orario di lavoro ed della cancellazione della controriforma Fornero delle pensioni.
Senza riconsegnare reddito e capacità di spesa ai lavoratori non vi potrà essere nessuna ripresa ma solo un avvitarsi permanente della crisi su se stessa.
Per poter evitare quest'epilogo che, come la storia insegna, potrebbe avere conclusione attraverso un'uscita da destra con la ricerca dell'uomo forte e dell'azzeramento democratico.
Non è un caso che oggi assistiamo sempre più ad un costante proliferare di gruppi e gruppetti che, pur richiamandosi al fascismo, vengono tollerati e a cui si gararantisce l'agibilità politica.
Per contrastare questi processi Crediamo che sia necessario sviluppare il massimo del nostro intervento, nel rendere visibile che le politiche di austerità sono politiche di crisi, e che esse non sono ineluttabili ma solo l'espressione di una scelta politica che può essere cambiata e rovesciata.
chi è il partito?” “tu e io e voi: noi tutti”.
Bertold Brecht
Negli anni '90 il sistema politico italiano ha cercato nuove strade per cercare di uscire da quella crisi della politica di cui si era iniziato a dover fare i conti sin dalla fine degli anni 70, che fu denunciata da Berlinguer con la “questione morale” e che vide il suo epilogo con tangentopoli.
Il discredito morale causato da quell'evento travolse un sistema politico e spinto l'opinione pubblica ad accogliere l'idea di sottoporre la rappresentanza a criteri come il maggioritario ed il bipolarismo all'insegna di un progetto politico che vedeva nella governabilità un valore assoluto.
Fummo allora profeti quando prevedemmo che tutto ciò avrebbe portato alla realizzazione di una casta di professionisti il cui orizzonte politico generale sarebbe stato limitato al proprio successo personale e che i partiti sarebbero divenuti delle strutture composte da potentati e regolati da accordi di potere. Già allora la pezza era peggiore del buco.
Tuttavia la reazione dei cittadini è stata quella di essere orientati in una scelta fortemente antisistema come quella del movimento cinque stelle che da una parte propaganda sfaceli e rivoluzioni ma ad oggi sostanzialmente con le sue scelte ha oggettivamente svolto un ruolo di stabilizzazione del sistema ed in taluni casi di vera e propria stampella suo malgrado. Tuttavia nel corso dell'ultima campagna elettorale siamo stati colpevoli di non essere in grado di farci percepire come alternativa possibile e ciò ha portato alla cancellazione della sinistra anticapitalista dal Parlamento.
A partire da questo fatto e dalla constatazione della trasformazione del PD che ormai è possibile leggere come espressione della sinistra dell'ideologia neoliberista.
Riteniamo necessario lavorare alla realizzazione di una sinistra in grado di poter rappresentare il movimento operaio e dei lavoratori, una sinistra non subalterna al centrosinistra ma con una forte autonomia ideologica, politica e programmatica oltre che di pratica sociale.
Una sinistra che non si pone nella logica dell'alternanza dei governi ma lavora per realizzare l'alternativa all'attuale sistema sociale.
Tutto ciò sembra indicare che oggi, come ieri, di nuovo uno spettro si aggiri per l'Europa.
Proprio per esorcizzare tale spettro la stampa borghese evita, con particolare impegno, di informare la pubblica opinione italiana sui successi elettorali che la sinistra, quella vera, coglie in Europa .
Tale impegno è secondo solo a quello profuso per evitare che i cittadini, i lavoratori, l'opinione pubblica possano sapere che in Italia esiste un partito, Rifondazione Comunista, che dice cose di sinistra e che, malgrado le sconfitte, si sta riorganizzando per poter contare e per far si che il domani sia diverso.

IX Congresso federazione "Castelli, Colleferro, Litoranea", Lanuvio 2013, Documento

 Documento Politico Approvato

Inizia un nuovo corso per il nostro partito, per la nostra federazione. Con dispiacere prendiamo atto della defezione, a pochi giorni dal congresso, di alcuni membri della segreteria uscente, attuata a nostro avviso con tempistiche e modalità non consone a ciò che ci si aspetta in un partito comunista.
Non ci preme in questo documento sottolineare per l’ennesima volta le difficoltà oggettive che riguardano il partito a livello nazionale di cui ogni giorno discutiamo.
Intendiamo, quindi, con questo documento, indicare da una parte una linea politica che possa rendere più incisiva l’azione del PRC sui territori, e dall’altra delineare i punti programmatici da realizzare attraverso un piano di lavoro politico e sociale che veda impegnato tutto il corpo militante del partito. È per questo che dobbiamo porci degli obbiettivi effettivamente realizzabili e che possano tanto far crescere la nostra proposta politica nella società, quanto rafforzare la nostra organizzazione.
A tal proposito sentiamo l’esigenza di lanciare proposte politiche ed operative che indichino un reale percorso da seguire:
-per rispondere alla crisi territoriale del partito (nella nostra federazione visibile con la scomparsa di alcuni circoli) intendiamo intraprendere ciò che da molti anni proclamiamo ma non realizziamo: la costituzione di zone operative (montagna, castelli, litoranea) in cui i circoli possano coordinarsi rispetto alle attività peculiari di ogni territorio;
-rendere i circoli luoghi aperti ed effettivamente funzionanti come strutture a carattere non solo politico ma soprattutto sociale e culturale, in cui realizzare attività aperte ai cittadini sul modello di quelle che erano le Case del Popolo;
-promuovere una nostra azione organica nei movimenti, in cui i militanti del PRC, impegnandosi in prima persona, riescano ad esprimere appieno le nostre proposte politiche. Affermare poi la pratica secondo la quale, i compagni e le compagne che si impegnano nei movimenti debbano esserne responsabili nel partito relazionando sulla propria attività;
-realizzare iniziative di formazione storico-politica tesa a formare un corpo di militanti che abbia, grazie a una solida cultura marxista, la capacità di analizzare le contraddizioni sociali ed economiche di questa società capitalista. Di fondamentale importanza è poi formare le compagne ed i compagni su ciò che riguarda gli enti locali e le questioni amministrative. Organizzare altresì seminari di formazione su ambiente, lavoro e sanità, di modo che i militanti che si trovano ad affrontare le diverse vertenze territoriali, abbiano strumenti e competenze adeguate ad intervenire come si deve;
-elaborare e proporre un piano programmatico degli enti locali riguardante attività e settori della vita politica, sociale ed economica dei territori. Realizzare linee comune per tutti i circoli della federazione che si apprestano ad andare alle elezioni comunali;
-impegnare il partito tutto ad avviare un confronto con i cittadini stranieri che vivono nel nostro teritorio sulle politiche riguardanti la multientinicità della società in tutti i suoi aspetti, compreso quello dell’avviamento di un percorso che abbia come scopo l’auspicato diritto di voto a livello amministrativo, regionale e nazionale;
-lanciare e riscoprire le pratiche mutualistiche storiche del movimento operaio (come le casse di resistenza, i gruppi di acquisto, ecc.) per promuovere e sviluppare una solidarietà di classe nel mondo della crisi e per rendere il PRC uno strumento utile nella società.
Vogliamo con queste proposte valorizzare il lavoro fatto finora, migliorarlo, arricchirlo, potenziarlo. Per questo si rende necessaria una discontinuità con le pratiche e coi metodi che hanno portato a momenti di fratture e tensione perpetratisi nella nostra federazione per troppo tempo rendendo a volte più debole la stessa azione del PRC in questo territorio. Intendiamo quindi superare le divisioni in “gruppi” ed impegnarci a costruire un UNICO GRUPPO, unito, che si confronti sulle proposte politiche e che quando esce dalle riunioni abbia una linea politica e di azione comune. 
approvato all'unanimità.

1° Congresso FdS- Relazione introduttiva

I° Congresso della Federazione della Sinistra dei “Castelli Romani”
13 novembre 2010 - Auditorium di Genzano di Roma

Relazione introduttiva al Documento Politico
Marco Bizzoni

Care compagne e cari compagni
Inizierò la mia introduzione al documento politico partendo dal suo punto conclusivo, i Giovani.
Ciò perchè la questione giovanile conclude il documento ma non è l'ultimo punto che la Federazione intende affrontare, a conferma di ciò basti considerare che quel capitolo nel sottotitolo afferma: “una sinistra con lo sguardo rivolto al futuro”.
I giovani, dunque, un tema ed una categoria scivolosi per la politica.
In una vignetta di molti anni fa un rappresentante del governo affermava: “abbiamo risolto il problema della disoccupazione giovanile, basterà aspettare che divengano vecchi”.
Questo negli ultimi anni è stato il massimo della riflessione e attenzione che la politica ha rivolto ai giovani. Che certo non sono stati dimenticati, ma di cui la politica se ne è occupata solo per denigrarli, con epiteti come: bamboccioni, inerti, incapaci oppure li si è abbandonati in pasto a quella che Daniel Pennac chiama nonnaccia marketing.
In questi anni in cui, malgrado la sconfitta epocale del movimento operaio, ci siamo battuti per mantenere viva una prospettiva per il comunismo in Italia nuove generazioni sono venute avanti, e, nostro malgrado, si sono ritrovate immerse nella palude falsamente oggettiva della ricostituzione del mercato unico mondiale, la globalizzazione guidata dalle idee neoliberiste.
Nuove Generazioni per cui l'abbattimento del muro di Berlino, del 1989, o la fine dell'URSS, del 1991, sono parte di una storia che non hanno vissuto ma che conoscono dai libri così come gli eventi della rivoluzione di ottobre del 1917. Eventi che i Giovani, con la prospettiva storica schiacciata sull'immediato propria della televisione, pongono quasi sullo stesso piano tra loro e con la Rivoluzione francese o il Risorgimento.
I nostri Giovani, in questi anni, sono cresciuti assediati sin dall'infanzia dal mercato, bombardati dalla pubblicità, perennemente stimolati al consumo.
Sono cresciuti in un contesto sociale in cui l'unico valore condiviso è quello dell'arricchire, non importa molto con quali modalità.
Sono cresciuti avendo a disposizione come modelli di apprendimento di adulti “arrivati”: faccendieri, truffatori, intrallazzatori, politici cinici o interessati unicamente alla propria autopromozione, senzali e ricattatori.

A questi giovani, nati nell'epoca in cui il neoliberismo celebrava se stesso con la promessa di fare tutti ricchi ed in cui Fukujama affermava la fine della storia e la supremazia del capitalismo, dobbiamo rivolgerci con impegno, passione e attenzione indicando prospettive politiche, civili, morali,etiche e sociale altre da quelle in cui sono stati allevati.
Come sapete la storia la scrivono i vincitori e quindi vi risparmio su come essi possano conoscere la storia del movimento operaio, internazionale e nazionale, o la storia patria per quanto riguarda il fascismo o gli stessi anni della Repubblica.
La loro vita è stata, ed è, un immenso reality in cui fiction e realtà sono sempre più venute integrandosi impedendo di distinguere tra realtà e fantasia.
E questa non è solo una difficoltà dei giovani basti vedere il disorientamento tra noi adulti sulla base delle informazioni contraddittorie che continuamente ci vengono propinate.
Con i giovani, in particolare, Nonnaccia marketing ha lavorato bene stimolando falsi bisogni, costruendo falsi miti, inventando stili di vita apparentemente esclusivi ma in realtà sempre più massificati e indotti.
Per questi giovani la politica è uno strumento necessario per farsi gli affari propri, diventare importante, conosciuto, potente o, più semplicemente, uno strumento per “oliare” la propria carriera professionale oppure, ancora più in basso, per trovare un lavoro.
In questa ottica i partiti servono solo ai politici per praticare la propria esclusiva autoaffermazione.
Per questi giovani il lavoro non è altro che lo strumento, con cui chi non ce la fa: “a viaggiare in prima con il drink in mano e tutto quel che vuoi” cerca, rateizzando, di dare ai suoi conoscenti l'apparenza di quell'immagine che il marketing ha imposto come vincente.
Restando imprigionati nello sforzo di cercare di dare di sé quell'immagine che la società dei consumi richiede se non si vuole essere considerati, dagli amici, dai parenti o dal gruppo dei pari fuori dal giro che conta.
Giovani fragili che vorrebbero essere sostenuti, che cercano un'idea nobile, che vorrebbero poter seguire modelli positivi ma che si vedono permanentemente riproporre ed imporrre la scelta individualista dell'homo homini lupus.
Giovani spinti costantemente in una lotta di tutti contro tutti in cui solo i più forti o i più furbi ce la possono fare, alcuni combattono, altri si sono già arresi, certi restano inerti sconfitti da se stessi. Alla fine ciò che resta è solo un immenso cinismo.
Il tutto spesso per ottenere la sicurezza di qualcosa che in realtà magari dovrebbe essere un diritto di tutti.
Credo che se vogliamo ricostruire una proposta politica per il futuro dobbiamo ripartire da qui.
Avendo ben presente che esistono anche forze, intelligenze, volontà che trovano sfogo ed impegno in molte realtà sociali.
Pensiamo ai giovani impegnati con Libera, a quelli che sostengono Emergency e quelli impegnati in altre decine e decine di diverse attività di volontariato.
Vi è dunque anche un'Italia, che non si arrende al Marketing, al buon senso peloso e caritatevole, alla violenza o alla volgarità, vi è un'Italia migliore che pretende un futuro diverso.
Negli ultimi anni non abbiamo saputo parlare a nessuno di questi giovani, né a quelli pervasi di individualismo né a quelli impegnati nel sociale.
E' ora compagne e compagni che, come ci ha insegnato il comandante Marcos iniziamo a camminare domandando, è ora che riprendiamo a cercare e sperimentare: modalità, linguaggi, proposte, che ci consentano quanto meno di entrare in comunicazione con queste realtà a cui dobbiamo riuscire a far comprendere che non si deve rinunciare alla lotta collettiva per un mondo migliore perchè non si può fare nulla, perchè sembra che nulla camberà mai, perchè il futuro sembra senza speranza.
Ricordando loro quanto ammoniva il compagno Guevara: “L'unica battaglia che ho perso è stata quella che ho avuto paura di combattere”.

Il compito che abbiamo nell'odierna assemblea congressuale è quello di discutere motivi e temi su cui privilegiare il nostro impegno con lo scopo di consentire alla sinistra di poter tornare a volare alto.
Apparentemente i temi enunciati nel documento, che si configurano come una sorta di programma di governo, possono essere considerati scontati. Ma ciò è una falsa apparenza, dovuta all'effetto sincronico che si sviluppa in chi, come noi, è sempre stato dalla stessa parte.
Ma se riflettiamo diacronicamente sulla fase e sui soggetti della politica attuale notiamo subito che essi, oggi, non solo sono temi fondamentali per chi intenda svolgere seriamente una politica al servizio della classe operaia e dei lavoratori, ma si potrà notare come quei temi siano assenti anche in soggetti politici che spesso ammiccano all'elettorato presentandosi come sinistra.
Da parte di tutte le forze politiche presenti, in Parlamento, al Governo o all'opposizione si torna a sentir parlare dell'importanza del lavoro.
Essa, però, è intesa in un modo particolare. La declinazione che tutti ne danno quotidianamente è tutta interna al concetto di coesione nazionale, nella battaglia produttiva internazionale dovuta alla globalizzazione.
Sempre più spesso sentiamo dire che siamo tutti nella stessa barca e, dunque, tutti dobbiamo spingere affinchè la barca non si fermi e possa giungere alla meta agognata.
Solo che in quest'apologo non viene detto che su quella barca c'è chi rema incessantemente e chi invece si diverte, mangia e balla.
Qui si pone la nostra diversità, Siamo tutti sulla stessa barca è vero ma non ci stiamo tutti allo stesso modo e noi vogliamo combattere e riequilibrare questa profonda ingiustizia.
Per questo, per noi, centralità del lavoro significa essere schierati dalla parte dei lavoratori e volersi assumere il compito della loro rappresentanza politica.
Noi non siamo equidistanti tra le ragioni dell'impresa e quelli della classe operaia e dei lavoratori.
Noi siamo decisamente di Parte, dalla parte di chi vive del proprio lavoro in qualsiasi condizione: come dipendenti a tempo indeterminato o determinato, co.co.pro. falsi autonomi, interinali, piccoli artigiani o piccoli commercianti.
Noi siamo da questa parte, che non ha più santi nel paradiso – Parlamento, e che è quella che sta pagando la crisi ed è quella a cui si vuole far pagare le politiche monetariste dell'Unione europea di riduzione del debito.
Riteniamo che, per tutelare i diritti dei lavoratori, sia necessario sviluppare politiche di ricomposizione del mondo del lavoro in controtendenza con il processo di divisione che, negli ultimi anni, lo ha indebolito.
Non è possibile però parlare di ricomposizione del lavoro senza affrontare la questione dell'immigrazione ed i suoi risvolti sociali. La politica delle destre criminalizza i migranti e tratta l'immigrazione come un problema di sicurezza, lasciando, a disposizione di un mercato del lavoro schiavistico, uomini senza tutele e senza possibilità di rivendicare diritti.
Tutto ciò non solo impedisce una vera ricomposizione del mondo del lavoro ma indebolisce anche la posizione dei lavoratori italiani nella tutela dei propri diritti.
Solo la solidarietà tra lavoratori, nativi e migranti, può consentire la difesa dei diritti dei lavoratori.
Per questo noi, idealmente, siamo tutti sulla gru di Bergano.
Per questo riteniamo che sia necessaria una sanatoria che elimini gli effetti di una legge sbagliata, iniqua e truffaldina. Una sanatoria che consenta, ai lavoratori migranti clandestini che già hanno pagato per ottenere il permesso di soggiorno, di poter iniziare a vivere in modo dignitoso del proprio lavoro senza essere considerati dei criminali solo per il fatto di essere stranieri. E quindi essere sfruttati nel lavoro
Riteniamo quindi che, la questione dell'integrazione dei migranti non sia questione di ordine pubblico, ma una questione decisiva per poter avviare una battaglia unitaria che porti allo sviluppo di politiche per una piena e buona occupazione per tutti.
Questa battagli si lega anche alla questione di genere ed alla strisciante regressione culturale in atto. Forze potenti sono al lavoro per far regredire il ruolo della donna a quello di angelo del focolare. Per questo riteniamo indispensabile il nostro impegno per impedire il risorgere di ogni forma di patriarcato assicurando che le donne possano avanzare verso un'effettiva parità di condizioni nel lavoro, nella società e nella famiglia a prescindere dagli impegni dei padri, mariti, compagni.

Sempre più il capitalismo mostra il suo volto predatorio e distruttivo e in tal modo conferma le previsioni di Marx, “Socialismo o barbarie”. O la classe operaia riuscirà a sconfiggere il capitalismo o si troverà coinvolta nella comune rovina della devastazione della terra.
Come leggere le recenti alluvioni in Veneto, ed a Salerno e tutte quelle che nel corso di questi anni si sono di volta in volta succedute di tragedia in tragedia di disastro in disastro? Come leggere le frane delle coste dei nostri laghi o il costante è permanente abbassamento del livello delle loro acque?
Qualcuno parla di fatalità, qualcuno della forza catastroficha della natura, noi diciamo che quegli eventi sono causati dalla volontà di profitto del capitale che consuma territorio senza curarsi della precarietà idrogeologica che si lascia alle spalle.
Per questo riteniamo che sia fondamentale sottrarre le risorse naturali ad ogni possibile tentativo di riduzione a merci e ci batteremo affinchè i beni comuni e i servizi essenziali non siano soggetti a processi di privatizzazione.
Oltre a ciò bisogna aver presente che alcuni beni comuni, come i processi di conoscenza, sono elementi essenziali per la democrazia. Noi riteniamo che la cultura sia un patrimonio universale che va garantita a tutti attraverso un diritto all'istruzione obbligatoria per tutti, pubblica e di massa sino ai 18 anni.
Altri, ma sembra che di ciò si vergognano visto che approvano i provvedimenti di notte, ritengono che la scuola debba avere un segno di classe e religioso e quindi escludono la scuola privata dai tagli di bilancio necessari al risanamento del sistema Italia.
A 150 anni dalla costituzione dello Stato unitario riteniamo ormai fondamentale la costruzione di uno stato laico.
Non stiamo chiedendo l'ateismo di Stato, ma che sia rispettato il principio di “libera chiesa in libero stato” enunciato da quel sovversivo di Cavour.
Intendiamo continuare ad impegnarci per la pace ed il disarmo, contro ogni guerra, contro ogni forma di imperialismo o neocolonialismo. Per questi motivi riteniamo giunto il momento dell'uscita dell'Italia dalla Nato, divenuta ormai l'illegittimo gendarme del mondo.
Nello stesso tempo è necessario lavorare per il superamento della Nato operando affinchè l'Unione Europea si doti di una propria comune politica di sicurezza e di pace.
A tal fine crediamo che sia necessario anche abbattere il carattere a-democratico dell'Europea e procedere ad una sua rifondazione per questo proponiamo che i cittadini possano eleggere direttamente un'Assemblea Costituente con il potere di dare all'Europa basi democratiche.

Negli anni '90 il sistema politico italiano ha cercato nuove strade per cercare di uscire da quella crisi della politica di cui si era iniziato a dover fare i conti sin dalla fine degli anni 70, che fu denunciata da Berlinguer con la “questione morale” e che vide il suo epilogo con tangentopoli.
I partiti sempre più si erano venuti trasformando da organismo di partecipazione di massa alla vita del Paese a lobby di interessi e gruppi ristretti di potere.
Sotto il peso del discredito morale causato da tangentopoli la forma partito perse ogni autorevolezza. In tali condizioni fu facile per i costruttori dell'opinione indicare la responsabilità di quella condizione ad un sistema elettorale e spingere il Paese ad accogliere l'idea di sottoporre la rappresentanza a criteri come il maggioritario ed il bipolarismo che facevano venire meno il ruolo dei partiti come collettivi di cittadini organizzati all'insegna di un progetto politico e la necessità assoluta della governabilità.
Fummo allora profeti quando prevedemmo che tutto ciò avrebbe portato alla realizzazione di una casta di professionisti il cui orizzonte politico generale sarebbe stato limitato al proprio successo personale e che i partiti sarebbero divenuti delle strutture composte da potentati e regolati da accordi di potere.
Già allora la pezza era peggiore del buco come mostrarono i risultati elettorali e le successive modifiche elettorali.
Poi piccoli interessi di bottega si incontrarono e peggiorarono quelle condizioni consentendo la nascita del PDL e del PD.
A quel punto sembrava che la transizione al bipolarismo dell'alternanza fosse ormai compiuta con la costituzione del governo con la più ampia base parlamentare, grazie al premio di maggioranza, da una parte, e la cancellazione della sinistra dal Parlamento dall'altra.
Una cosa è certa quanti hanno individuato nel maggioritario e nel bipolarismo la soluzione della crisi della politica in realtà non hanno fatto altro che alimentarla trasformando i cittadini da soggetti attivi a fruitori passivi di scelte che spesso non vengono più nemmeno discusse nei luoghi deputati.
Oggi con la crisi del Pdl e con l'esasperata dialettica interna del PD è ormai chiaro a tutti che la seconda repubblica che doveva risolvere la crisi della politica è ormai finita ed è necessario prendere altre strade.

La crisi della sinistra, il cui esito finale ha avuto come risultato, la sua cancellazione dal Parlamento, è iniziata con la sua incapacità di sottrarsi al processo di trasformazione dei Partiti in apparati di potere e luoghi di ricomposizione delle aspettative degli eletti.
A sinistra, pur mantenendo alto quello spessore ideale che altrove invece diviene sempre più la foglia di fico con cui si nascondono i rapporti di potere, si è messo in secondo piano il valore dell'unità rispetto all'esigenza di essere personalmente in primo piano.
Tutto ciò insieme alla perdita di ogni legame tra visione di partito e interesse nazionale, ovviamente nell'ottica che il bene della classe era il bene della nazione, ha prodotto un'estrema frammentazione e frantumazione della sinistra.
Il tardivo tentativo di porvi rimedio ha prodotto una risposta inadeguata che non è risultata credibile ai cittadini.
Cancellata dal Parlamento, nella sinistra, si sono evidenziate due diverse prospettive: quella di Vendola, che accetta l'ambito del capitalismo e continua a pensare che con il PD sia possibile realizzare un governo che dica cose di sinistra.
La nostra prospettiva, che prende atto, con il fallimento dell'esperienza del governo del 2008 e la successiva campagna elettorale, della trasformazione ormai compiuta e vede nel PD l'espressione della sinistra dell'ideologia neoliberista.
A partire da questa valutazione si è ritenuto necessario lavorare alla realizzazione di una sinistra in grado di poter rappresentare il movimento operaio e dei lavoratori, una sinistra non subalterna al centrosinistra ma con una forte autonomia ideologica, politica e programmatica oltre che di pratica sociale.
Una sinistra che non si pone nella logica dell'alternanza dei governi ma lavora per realizzare l'alternativa all'attuale sistema sociale.
Il Congresso di Fondazione della Federazione della Sinistra è, dunque, il punto di arrivo di un processo avviato per consentire la nascita di un nuovo soggetto politico unitario e plurale.
Secondo un modello che, rispecchiando l'articolazione della società odierna polverizzata nelle mille identità, consentisse l'interlocuzione di forze provenienti da diverse culture e nello stesso tempo assicurasse la massima unità di analisi e di azione.
Come sempre l'innovazione ha un cuore antico è, quindi, si è scelto il modello dell'FLM, che, tra la fine degli anni '70 e gli anni '80, riunificava i sindacati metalmeccanici permettendo ai lavoratori di aderire anche a prescindere dalle singole organizzazioni.
Sino ad oggi, nel processo di realizzazione della Federazione, ciò che si è riusciti a realizzare è stato poco di più di un semplice “cartello elettorale”, ma non è questo l'orizzonte ultimo a cui ci stiamo indirizzando, l'ambizione a cui stiamo lavorando.
La Federazione nasce per unire oltre le attuali appartenenze tutti quelli che si riconoscono nelle idee di critica al capitalismo e che, quindi, ritengono necessaria una conseguente azione politica.
Per questo motivo il congresso che ci accingiamo a svolgere è anche un punto di partenza per l'allargamento della Federazione a tutti quelle forze che come noi condividono la necessità di ricostruire una forte sinistra.
Vogliamo costruire una forza di sinistra simile a quelle esistenti in quasi tutta Europa e nei paesi del Sud America, una forza che si pone l'obiettivo di battersi per costruire il socialismo del XXI° secolo.
La grande stampa italiana, cosiddetta libera, che sino a poco tempo fa si limitava a sminuire le nostre idee bollandole come residui del passato senza seguito nel mondo oggi è particolarmente attenta ad impedire che ogni nostra idea possa essere conosciuta dai cittadini e dai lavoratori italiani.
Eppure la grande battaglia a cui abbiamo partecipato dell'acqua bene comune, non è la stessa che ha visto la Bolivia non solo riassumere la dignità di Stato con la ripubblicizzazione delle concessioni di sfruttamento delle acque, ma anche riassumere una dignità di popolo con l'elezione di un indio, Morales, a Presidente della Repubblica.
Eppure le nostre proposte di redistribuzione del reddito ai lavoratori non sono le stesse che Chavez, in Venezuela, ha messo in atto nazionalizzando l'industria petrolifera ed utilizzandone i profitti per accrescere reddito e dignità del popolo.
E ancora, in Brasile, non è stato possibile con le idee di giustizia sociale eleggere come Capo di Stato un metalmeccanico ieri ed oggi un ex rivoluzionaria.
Ho citato questi casi, ma ce n'è sarebbero altri, per mostrare che oggi , nel mondo, le idee di giustizia sociale che propugniamo non sono dei ferrivecchi ma strumenti con cui alcuni popoli si stanno costruendo un nuovo futuro.
Peggio di così la grande stampa, sia essa borghese moderata come il “Corriere della Sera” o borghese di sinistra come “la Repubblica”, si comporta con i partiti di sinistra dei vari paesi europei. I lettori, i cittadini, i lavoratori italiani non devono sapere ad esempio che in Germania, alle elezioni regionali di maggio, la Linke ha conquistato il 6% entrando in un Parlamento dove non era presente. Oppure, come è successo pochi giorni fa, la cosiddetta stampa libera è costretta a nascondere la travolgente avanzata dei comunisti greci che ha visto quel partito, nel volgere di pochi mesi, passare dal 7,5% all'11%, sulla scorta della battaglia di rifiuto e opposizione, della politica economica e sociale, concordata dal centrosinistra greco con l'Unione Europea e condivisa dall'opposizione di centrodestra.
Lì, i lavoratori, hanno ben compreso che l'unico esito di quelle politiche era quello di scaricare su di loro il costo della crisi.
Tutto ciò sembra indicare che oggi, come ieri, di nuovo uno spettro si aggiri per l'Europa.
Proprio per esorcizzare tale spettro la stampa borghese evita, con particolare impegno, di informare la pubblica opinione italiana sui successi elettorali della sinistra in Europa .
Tale impegno è secondo solo a quello profuso per evitare che i cittadini, i lavoratori, l'opinione pubblica possano sapere che in Italia esiste una sinistra che dice cose di sinistra e che, malgrado le sconfitte, si sta riorganizzando per poter contare e per far si che il domani sia diverso.
E' con questo spirito che i quattro soggetti fondatori della Federazione si sono posti di fronte alla necessità di costruire un nuovo soggetto politico che potesse essere un elemento di riaggregazione a sinistra.
Invece di negare le identità, cercando una sintesi coatta di tutte le esperienze realizzando un improbabile unicum identitario, si è scelto di mantenere il valore delle esperienze del movimento operaio, del movimento ecologista, del movimento pacifista, della critica al patriarcato riconoscendone le diverse e feconde identità, e a partire da ciò ci si è messi alla ricerca del molto che esse condividono per trovare i punti comuni di azione piuttosto che evidenziare ciò che divide.
In tal modo si è venuto realizzando un soggetto politico plurale che ha l'ambizione di conquistare delle basi di massa, in grado di rovesciare le sorti della Sinistra italiana e capace di riprendere il percorso interrotto della costruzione del socialismo.
Nel far ciò dobbiamo avere ben presente che le esperienze del movimento operaio del 900, con le sue divisioni, sono ormai storicamente concluse.
E' necessario considerarle superate, senza dimenticarle e senza rescindere i nostri legami con esse, ma avendo presente la necessità, per poter riprendere un cammino efficace, di dover declinare in forme nuove la costruzione del socialismo.
Concludo con un'ultima citazione "Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita.” Enrico Berlinguer

1° Congresso FdS - Dibattito

La compagna Bevilacqua da la parola alle delegazioni dei partiti:


IdV Luca Di Teodoro: Augura buon lavoro alla neonata FdS. Il lavoro svolto negli ultimi tempi, le iniziative e le manifestazioni svolte per vertenze territoriali e nazionali sono state partecipate esclusivamente dagli schieramenti politici dell’IdV, del PdCI e del PRC. Andando nello specifico del territorio nota uno smarrimento dei giovani genzanesi sia come cittadini che come membri attivi della politica. Auspica una collaborazione con la FdS per scuotere la coscienza civica delle persone cercando di attuare dei miglioramenti su ciò che abbiamo ereditato, mettendo in campo le lotte ed impiegando più forza nelle battaglie comuni.


Sinistra Critica Nicola Casubolo: saluta e augura buon lavoro alla FdS. “Ricorda” che le lotte non si fanno solo nelle sezioni ma anche e soprattutto nelle strade. Disponibilità a collaborare nelle lotte e nelle istanze dei cittadini.


PD Giacomo Tortorici (area Bersani): saluta e augura buon lavoro alla FdS e auspica in un immediato futuro, una collaborazione attiva e rispettosa con la FdS. Comunica il congresso di circolo del PD in data 27 novembre.


Tomei (consigliere comunale del PdCI di Ariccia): occorre unire la sinistra perché così spaccata non serve a nessuno. Le lotte occorre farle nelle piazze, ma ciò non esclude il dovere di lottare all’interno delle istituzioni. Nel calendario istituzionale della FdS dovrebbe esserci l’annullamento dei patti territoriali, il nostro ritorno tra la gente, le vertenze dei lavoratori, ecc. I cittadini ci vedono non più come rappresentanti dei lavoratori e delle minoranze ma come retrogradi e semplici idealisti. Occorre aprirsi ed essere disponibili alla collaborazione con tutte le forze di sinistra per lavorare insieme e non ghettizzarsi.




























Emendamento Di Mauro Parretti (Castelgandolfo)

Occorre che si attui con la consapevolezza di essere in una situazione storica in cui il capitalismo ha da tempo smesso di avere una funzione storica positiva mediante l’accumulazione di risorse produttive e rappresenta ormai solo un ostacolo ad ogni ulteriore progresso dell’umanità.

Solo a partire dalla constatazione della irreversibilità della crisi del capitalismo e dalla comprensione della sua natura paradossale è possibile trovare il percorso verso una società che possa superarne le contraddizioni.

Come previsto da Marx, la prima grande crisi del capitalismo culminò con quella del ’29.

La natura paradossale della crisi dovette essere accettata, seppure a fatica, anche dagli economisti non marxisti, che trovarono nel keynesismo una spiegazione ed una soluzione temporanea della crisi più digeribile di quella di Marx.

Quando la produttività diventa molto elevata, il lavoro necessario ad una produzione aggiuntiva diventa molto scarso. Allora la quota di quella produzione che deve tradursi in consumi, che sono solo quelli della mano d’opera necessaria, diventa estremamente piccola.

La quota complementare, che il capitale trattiene per sé, e che è costituita da investimenti aggiuntivi, deve pertanto essere estremamente grande.

Ma, se la produzione aggiuntiva possibile implica un aumento di consumi molto piccolo, richiederà un incremento di capitale molto piccolo e quindi la quota di nuovi investimenti, che deve essere estremamente grande, trova una domanda molto piccola e dunque insufficiente. Questa assenza di un mercato di sbocco impedisce che avvenga una produzione aggiuntiva, anche se le risorse produttive esistono e sono anzi sovrabbondanti.

Dalla prima grande crisi si uscì con la brillante invenzione keynesiana dello stato sociale, che permise di continuare l’accumulazione capitalista.

Poiché ogni produzione aggiuntiva che si realizzi, genera anche una tassazione aggiuntiva, lo Stato, aggiungendo una quota di consumi pubblici a quella, di per sé troppo scarsa, dei consumi del lavoro, poteva rendere congrua la quota di nuovi investimenti, altrimenti troppo grande, e dunque possibile la realizzazione di produzioni aggiuntive, via via crescenti.

La tassazione aggiuntiva conseguente, faceva rientrare lo Stato della spesa, inizialmente sostenuta, senza generare inflazione.

Questa soluzione permise la continuazione di uno sviluppo capitalistico addirittura enorme ed accompagnato da un elevato progresso sociale.

Come però aveva previsto Keynes, questa soluzione sarebbe stata temporanea perchè, quando la società fosse arrivata a soddisfare la gran parte dei bisogni primari, anche i lavoratori avrebbero iniziato a risparmiare una piccola quantità del loro reddito, riproponendo un drastico limite ai consumi rispetto alla produzione possibile.

Lo stato sociale portò, seppure contraddittoriamente, in quanto funzionale alla prosecuzione dell’accumulazione capitalista e subalterno alla legge del profitto, a quella condizione, altamente produttiva, che Marx aveva previsto che avvenisse in una società già socialista, adeguata all’introduzione progressiva del comunismo, cioè al superamento della pura e semplice egoistica appropriazione di risorse nell’esercizio del lavoro umano.

Pur nel limitato orizzonte capitalista, anche Keynes espresse la necessità di superarne in qualche forma i meccanismi, quando si fosse giunti alla condizione in cui il capitale avrebbe smesso di essere scarso e previde che sarebbe avvenuta l’eutanasia del risparmiatore.

Occorre allora comprendere che una economia finanziaria, in apparenza svincolata dalla economia reale, è dovuto dal perdurare della legge del profitto oltre ogni limite e rappresenta il modo in cui, mediante l’inflazione progressiva e le periodiche cadute delle borse, si svalutano numerosi piccoli risparmi, affinchè pochi grandi capitali possano avere un profitto positivo in un “gioco a somma zero”.

Dal lato dell’economia reale, poiché lo stock di capitale reale necessario non cresce, si tende a rendere necessario ciò che non lo è, creando capitalizzazioni ben oltre le stesse regole capitaliste, arrivando a privatizzare risorse non operabili in un regime di concorrenza, come autostrade, ferrovie, sistemi di telecomunicazione, acquedotti, e così via ed inventando capitalizzazioni immateriali innecessarie, come quote di mercato, brevetti su formule scientifiche, relazioni pubbliche e lobby, diritti di edificabilità dei suoli, permessi, concessioni e così via.

Ma, se vogliamo che l’alternativa possa scalzare il capitalismo, deve proporre i cambiamenti necessari affinchè un nuovo modo di produrre e riprodursi possa essere praticabile, superando quelle contraddizioni.

La crisi del capitalismo si manifesta nella difficoltà a riprodurre tanto il capitale, quanto il lavoro salariato, entrambi eccedenti sul mercato.

Per questo è necessario che i lavoratori possano produrre senza la mediazione e lo sfruttamento del capitale.

In questo momento storico però per ottenere questo non è più sufficiente l’appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori, ma è necessario che il lavoro salariato riesca definitivamente a superare la sua condizione di merce, per di più sovrabbondante.

Occorre la consapevolezza che, in una situazione di estrema produttività come quella attuale ed in presenza di una globalizzazione dell’economia, non è più sufficiente la contrattazione collettiva a livello nazionale, ma è necessario passare ad una armonizzazione del costo del lavoro a livello europeo e poi mondiale, in modo che, così come ci si preoccupa che avvenga per le altre merci, anche per la merce forza lavoro non ci sia concorrenza sleale.

Questo principio di controllo dell’offerta e contrattazione collettiva deve estendersi progressivamente alle regole del commercio internazionale, affinchè non si delocalizzino selvaggiamente le produzioni alla ricerca del lavoro a costo più basso e si capisca che a salari più bassi corrisponde una più bassa capacità di consumo ed una spirale recessiva inarrestabile.

Solo la contrattazione internazionale del salario può impedire il continuo impoverimento dei lavoratori e, successivamente, consentire che, accanto ad un maggior soddisfacimento dei bisogni principali, che non sfoci nel consumismo e nel degrado ambientale, si realizzi una progressiva riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Ma porre la centralità del lavoro senza porre simultaneamente il superamento del lavoro salariato stesso sarebbe velleitario.

A chi reclamare il diritto al lavoro, se il capitale non è più in grado di mediare lo sviluppo sociale?

Su questo si misura il socialismo del XXI secolo, che deve saper trarre dagli errori, spesso drammatici, sia del socialismo bolscevico, che della socialdemocrazia del welfare, gli elementi per riproporre un socialismo scientifico e non moralista ed utopistico.

Dobbiamo comprendere la storia del ‘900 e gli errori delle prime forme di socialismo realizzate.

Tutte le “rivoluzioni socialiste” del ‘900, a partire dalla rivoluzione d’ottobre, si sono realizzate in società ben lontane da quella maturità capitalista che, secondo Marx, doveva rendere possibile e necessaria l’introduzione del socialismo, scientifico proprio in quanto frutto della realtà storica.

Invece è successo che guerre di liberazione nazionali, abbattimenti di dittature precapitaliste e rivoluzioni antifeudali hanno visto la partecipazione egemonica di forze socialiste, che hanno preso il potere e realizzato un socialismo che è stato frutto di un progetto intellettuale, prematuro in situazioni ancora caratterizzate dalla scarsità di risorse, basato su un egalitarismo morale e dunque troppo simile ad un capitalismo di stato, con un meccanismo distributivo calato dal’alto.

Come non ricordare che l’accumulazione di capitale, necessaria all’industrializzazione accellerata dell’Unione Sovietica, fu sì ottenuta senza la sferza del capitale, ma drammaticamente sostituita da quella staliniana.

L’assenza delle condizioni economiche adeguate, quelle cioè di un capitalismo maturo ed in crisi da sovrapproduzione, ha reso necessario che lo Stato, per di più ereditato dalla società preesistente, finisse per sostituire la socialità delle relazioni produttive nella costruzione del socialismo, confondendo la socializzazione con la ingenua statalizzazione.

D’altro canto la “soluzione” dello stato del welfare, anch’essa tecnico progettuale, tanto da essere indicata nella vulgata come la “ricetta” keynesiana, si è pure basata sull’attività dello Stato come appoggio e parziale sostituto del capitale, ma subalterna ed asservita al meccanismo capitalista.

Con Darwin, Marx e Freud, l’umanità si è trovata dinanzi all’imbarazzante conoscenza della propria natura, quella di una specie, dotata di un intelletto, ma la cui azione è fondamentalmente guidata dalle pulsioni e la socialità si realizza mediante le autocostrizioni del Super-Io.

Lo sviluppo della civiltà ed il lento, faticoso, superamento dell’ è sempre andato di pari passo con l’aumento della produttività del lavoro umano e dunque con la soddisfazione crescente dei bisogni primari.

Tutto il ‘900 sembra invece svolgersi all’insegna di una gigantesca rimozione collettiva di quelle scomode ed avvilenti conoscenze della natura umana ed alla ricerca di una autoesaltazione eroica, cosicché i primi tentativi di superamento del capitalismo si sono entrambi ingenuamente basati sulla costruzione di un socialismo etico ed intellettualmente concepito, anziché sul materialismo storico, o comunque su un’analisi antropologica scientifica, che facesse i conti con quello che l’umanità è e non con quello che vorrebbe essere, così come con quello che è possibile e storicamente necessario e non con quello che è moralmente ed utopisticamente desiderabile.

Aldilà del grado di “ritorno a Marx”, è comunque necessario uscire dalla superficiale dicotomia Stato-Mercato, riuscendo ad individuare il modo concreto di realizzare “la produzione senza il capitale” come produzione direttamente sociale.

Per quanto concerne il mercato, occorre approfondirne il duplice aspetto, che Marx evidenziava:

  1. La funzione, tendenzialmente positiva, del mercato come sanzione sociale della necessarietà ed utilità sociale dell’attività svolta (insomma come luogo ideale dove chi produce male, in modo obsoleto, o pigro, o cose che agli altri non interessano, deve fare i conti con lo “stato dell’arte”, con “l’innovazione” e con “l’utilità altrui”).

  2. La funzione di sanzione sociale di scarsità, o sovrabbondanza, che serve all’equilibrio produttivo, ma che è tendenzialmente negativa in una situazione di strutturale sovrabbondanza di una merce, quando questa rappresenta l’unica fonte di reddito di un gruppo sociale.
    In tal caso il mercato genera una situazione di guerra di prezzi al ribasso tra i detentori di tale merce che è dannosa per tutti.

Quando alla fine degli anni ’70, la sinistra storica ed i sindacati commisero l’errore di ritenere che, diminuendo il salario, sarebbe cresciuta la domanda complessiva di lavoro, anziché portare la contrattazione collettiva nazionale del salario a livello europeo e sottrarlo alla concorrenza internazionale, iniziarono ad accettare la visione liberista del lavoro, fino a riportarlo alle condizioni di precarietà, bassi salari e concorrenza di paesi a maggior grado di sfruttamento.

Di fronte alla elevatissima produttività che la tecnologia ha prodotto, l’umanità deve comprendere che, per la prima volta nella storia, il lavoro necessario alla riproduzione sociale è molto poco. Ma se il senso comune continua a ragionare con la logica del profitto e dell’accumulazione, la soddisfazione di bisogni via via crescenti, pur se possibile, non avviene perché deve ancora passare attraverso la mediazione del capitale, deve dare luogo ad una produzione di merci che debbono servire al profitto, cioè ad accumulare il capitale, che però non ha un valore d’uso e quindi quella soddisfazione dei bisogni, pure possibile, non avviene perché è il capitale e la possibilità del profitto che dettano le regole.

Dobbiamo allora superare la paradossale contraddizione del capitalismo che è davanti a noi da più di quarant’anni: dal lato di chi vive del proprio lavoro ci sono bisogni che non si traducono in domanda di consumi per l’assenza di reddito, mentre dal lato dei risparmiatori c’è un reddito che evapora costantemente nei meccanismi finanziari perché non può tradursi in domanda di investimenti che non avrebbero un’utilità.

Eppure si costringono i lavoratori ad accettare salari basati su una produttività che è misurata in denaro prodotto per unità di lavoro, come se un impianto efficientissimo, che funzionasse solo al 20% della sua capacità per mancanza di domanda, fosse per questo non produttivo.

Ma proprio dai primi ingenui tentativi di superamento del capitalismo, quello bolscevico, costruito in condizioni di bassissima produttività e che ha dovuto quindi produrre un’accumulazione di capitale senza capitalismo, come quello socialdemocratico, costruito in condizioni di elevata produttività, ma per proseguire e rendere ancora temporaneamente possibile l’accumulazione capitalista, dobbiamo trarre la riflessione sul ruolo dello Stato, che ha dovuto rappresentare in entrambi i casi l’attore di un cambiamento che, proprio in quanto progetto esterno, doveva essere introdotto per legge.

Ma se nella società non esistono ancora nuove relazioni produttive e riproduttive, che implichino nuove relazioni sociali, lo Stato, sovrastruttura giuridica e diretta emanazione della politica, non può essere l’attore del cambiamento, ma saranno i mutamenti delle relazioni riproduttive e sociali che dovranno cambiare lo Stato.

Sarà dunque necessario che si sviluppi l’associazione di liberi produttori, in forma cooperativa e no profit, senza la mediazione del capitale (cioè dove il valore aggiunto è trasformato in reddito personale e non in rendita o interesse), né dello Stato, elementi esogeni ed arbitrari, affinché riprenda e si espanda la soddisfazione dei bisogni umani aldilà del capitalismo.

Altrimenti lo Stato continuerà a rispecchiare il vecchio capitalismo e la maggioranza continuerà ad essere la somma di interessi particolari e quindi corporativi, e, proprio in quanto attore economico, sarà facilmente oggetto di lobbismo e corruzione.

Come non riconoscere infatti che una gran parte dell’imprenditorialità si basa oggi su adeguate “relazioni pubbliche”? presso le banche per ottenere un normale credito, presso gli appaltatori pubblici per avere commesse sufficienti, presso i legislatori per ottenere permessi, licenze, autorizzazioni e conformità, quando non addirittura leggi ad personam (come assegnazione di frequenze televisive, o possibilità di operare in condizione di monopolista).

Ma il socialismo del XXI secolo deve anche tener conto di un modo di riprodursi completamente nuovo, che già comincia ad implicare relazioni sociali completamente nuove e determina l’emergere oggettivo dell’egemonia sociale della donna.

Se la selezione naturale ha reso la femmina dell’umano, così come della quasi totalità delle specie animali, più debole, incapace a procacciarsi la sussistenza e legata alla procreazione nell’esercizio, spesso forzato, della sessualità, il capitalismo ha introdotto due mutamenti nel processo storico:

  1. Con l’introduzione dell’energia artificiale ha reso la forza lavoro femminile altrettanto produttiva di quella maschile e la donna è divenuta capace di provvedere alla propria sussistenza e perfino a quella della prole.

  2. Con l’introduzione degli anticoncezionali ha separato dalla procreazione l’esercizio della sessualità, rendendolo libero, sia per l'uomo che per la donna, ed ha posto la donna nella condizione oggettiva di poter:
    a)- stabilire a proprio piacimento l’esercizio della propria sessualità.
    b)- procreare anche senza l’esercizio della sessualità e l’intervento diretto dell’uomo.
    c)- provvedere a se stessa ed alla propria prole.
    d)- stabilire se, chi, e come abbia funzione paterna nei confronti della prole.

La sessualità è repentinamente divenuta pertanto una questione relegata a fatto privato, irrilevante per il resto del corpo sociale, così che coloro che per “natura”, o per scelta esistenziale, o per eventi della propria infanzia, manifestino una sessualità, finora considerata atipica in quanto non adeguata alla procreazione, non rappresentano più socialmente, al pari degli altri, alcunché di rilevante.

La donna, sia essa eterosessuale, o lesbica, è comunque in condizione di poter procreare.

La precedente egemonia sociale maschile, legata alla sua sua forza fisica ed alla conseguente capacità a procacciare la sussistenza propria, della “sua” donna e della “sua” prole, che si esprimeva, nelle varie forme e situazioni sociali, mediante il “domino”, si trova ora a dover metabolizzare la propria, attuale “marginalità sociale”.

Le nuove condizioni della riproduzione hanno confinato la sessualità alla sfera del privato e
1- reclamano la parità di diritti sociali per tutti, indipendentemente dalla propria sessualità

2- hanno reso la donna egemone nella funzione riproduttiva e nella tutela della prole.

Questa nuova “egemonia sociale” emergente della donna, talvolta si scontra con il sistema di relazioni sociali precedente, basato sull’egemonia maschile e contraddistinto dall’uso della violenza nelle relazioni sociali e verso l’oggetto del proprio desiderio.

Ma questa violenza nelle relazioni sociali, ben lontana dall’essere “levatrice della storia”, è considerata ormai dal senso comune come un elemento di pericolosità sociale.

Occorre che i valori, che la centralità e l’egemonia sociale femminile possono recare, come il superamento della violenza e dell’accaparramento nelle relazioni sociali, diventino anche egemonia culturale e possano condurre, in questa situazione di potenziale sovrabbondanza, a saper lavorare come libera realizzazione umana, che porti ciascuno a dare secondo le proprie capacità affinchè sia possibile che ciascuno possa ricevere secondo i propri bisogni.

Tra le pieghe della società in crisi, comincia infatti ad emergere la consapevolezza che non è possibile migliorare la qualità della propria vita, se non migliora anche quella dei propri vicini. Questo si manifesta in un maggiore sensibilità verso l’ambiente e l’uso delle risorse naturali comuni e non rinnovabili e verso la condivisione della tecnologia e della produttività con nazioni e popoli ad un minor livello di sviluppo, affinché l’integrazione multiculturale renda la Terra vivibile in pace.

La permanenza però di un meccanismo produttivo capitalista e le incertezze che la sua crisi provoca oscurano con emergenti paure i nuovi valori sociali di solidarietà e tolleranza.

Sono le paure di un futuro incerto, che la crisi del capitalismo provoca:

- della disoccupazione di massa e della precarietà tra i giovani,

- della insicurezza del potere d’acquisto della pensione nel tempo tra i vecchi,

- della perdita del posto di lavoro e dell’aumento dell’età pensionabile tra gli occupati anziani.

Ma un altro tipo di paura si impone. Se il capitalismo in crisi colpisce i paesi più sviluppati, esso ha già duramente colpito i paesi del terzo mondo, dove ha provocato condizioni di nuove povertà che si aggiungono alle vecchie.

Da tanti paesi partono drammatiche migrazioni di grandi masse, in cerca di condizioni di vita migliori verso il primo mondo, già esso stesso in crisi.

Per i migranti non vi sono grandi risorse, ma condizioni di vita drammatiche, talvolta in condizioni di clandestinità e di sfruttamento intensivo.

Spesso provengono da paesi in cui non si è ancora sviluppato il capitalismo, in cui i valori della società borghese non hanno ancora attecchito e le relazioni sociali sono quelle di società arcaiche, feudali, o tribali.

Per essi la società capitalista in crisi non riesce a rappresentare un ideale di civiltà più produttiva, con relazioni sociali più avanzate da acquisire. Perciò spesso la normale tendenza a ritrovarsi e riformare le comunità etniche originali diventa un modo per mantenere la propria identità in una situazione di crisi e pericolo e rifiutare un modello culturale e civile, non promettente, né esaltante.

La reazione dei cittadini dei paesi ospitanti, aldilà della usuale diffidenza verso il “diverso”, spesso sconta anche la distanza enorme che separa una società dove vigono rapporti sociali precapitalistici, di assoluto dominio maschile, sottomissione della donna e violenza nei rapporti sociali e familiari, da quella dove si va affermando la tendenziale egemonia femminile e la violenza privata è ormai percepita come un elemento di pericolosità sociale.

La crisi della civiltà ospitante non le permette di presentarsi come modello di riferimento, capace di integrare quelle ospitate, accogliendone gli aspetti culturali, ma costringendole a fare i conti con la modernità delle proprie relazioni sociali. La sua debolezza, in assenza di un’alternativa reale, fa emergere nel confronto etnico solo paure e diffidenze e favorisce da entrambi i lati le chiusure, la xenofobia, il razzismo, l’esaltazione acritica della propria morale o della propria religione!

Questo rende difficile, ma urgente, che l’affermazione dei diritti civili, la difesa della legalità, la sconfitta della violenza nelle relazioni sociali, l’eliminazione del lavoro nero e precario, il superamento della concorrenza tra lavoratori, il diritto all’istruzione ed alla conoscenza, garantito da scuola e università pubbliche e gratuite, le politiche per la piena occupazione e per orientare l’economia a fini sociali e redistribuire le risorse a vantaggio del lavoro, siano legati alla tutela dei migranti ed all’impegno contro razzismo, xenofobia ed ogni forma di neofascismo.

La politica fiscale deve, insieme alla redistribuzione di risorse verso i meno abbienti, favorire la spesa del reddito e penalizzare il risparmio in forma monetaria.

Può dunque prevedere la detassazione dei redditi spesi per acquistare lavoro in forma diretta, o da imprese cooperative e no profit e dunque favorire la circolazione del reddito.

Può viceversa penalizzare con aliquote alte il reddito non speso, ma prevedere la detassabilità per contributi previdenziali anche in forme volontarie o diverse da quelle usuali dei lavoratori salariati, permettendo e favorendo quelle forme di risparmio volontario e variabile che esprimono l'esigenza di assicurare a se stessi ed ai propri congiunti un futuro certo e sicuro.





emendamento di Francesco Ammendolia, Mauro Anzuini, Giorgio Barbieri, Carlo Cortuso, Alessandro D’Angelillo, Piero D’Angelillo, Melissa De Carolis, Stefano Paterna (Genzano di Roma)


DAL BASSO,

DAI MOVIMENTI,

COSTRUIRE LA SINISTRA DI ALTERNATIVA

COSTRUIRE LA FEDERAZIONE

Il Congresso territoriale della Federazione della Sinistra dei Castelli Romani riconosce le pratiche di mutualismo e le relazioni paritarie con i movimenti e le vertenze sociali presenti nella nostra zona come due elementi fondanti della propria identità di Sinistra di Alternativa.

La creazione di Gruppi di Acquisto Popolare, di corsi di sostegno gratuiti per studenti in difficoltà e di lingua italiana per migranti, l’apertura di palestre popolari e di ambulatori sociali, cosi come tante altre modalità di intervento che non è possibile menzionare in questa sede, costituiscono le fondamenta di un nuovo modo di fare politica nell’epoca della crisi del capitalismo.

Queste pratiche consentono infatti di rispondere a bisogni immediati dei cittadini e, in particolari delle classi popolari. Su di esse, pertanto, è possibile ricostruire, per dirla con Gramsci, una “connessione sentimentale” con il nostro popolo che anni di politicismo e di mancati risultati concreti hanno allontanato dalla politica e dalla Sinistra. Queste tipologie nuove di militanza non sono affatto una negazione della politica come elaborazione culturale e formazione di quadri, ma ne costituiscono invece una parte essenziale.

E’ sufficiente citare la splendida esperienza delle Brigate di Solidarietà Attiva (alle quali partecipano tante compagne e compagni dei nostri circoli) in Abruzzo e in questi giorni in Veneto, per rendersi conto del valore politico di queste esperienze. Esperienze che ora hanno trovato una comune forma organizzativa nella RAP, la Rete per l’Autorganizzazione Popolare che raggruppa associazioni, gruppi di acquisto, mutue autogestite, e che avrà la sua assemblea costitutiva a fine anno.

L’altro elemento che la Fds del territorio individua come centrale nella sua azione politica è la costruzione di relazioni paritarie con i movimenti di base ambientalisti e sociali presenti nei Castelli Romani: relazioni ovviamente improntate al pieno rispetto della reciproca autonomia, ma che tuttavia riconoscono nella capacità vertenziale di questi soggetti sociali un patrimonio fondamentale della Sinistra di Alternativa e perfino una istanza fondamentale di radicalità e di distinzione rispetto alle politiche insoddisfacenti e moderate che il Pd e spesso il quadro politico del Centro-Sinistra locale esprime.

In particolare, il Congresso territoriale della Federazione della Sinistra si impegna a sostenere pienamente la lotta del Coordinamento contro l’Inceneritore di Albano e le forme di lotta improntate all’autorganizzazione che da anni si stanno sviluppando contro questo “ecomostro”. Cosi come riconosce il valore della mobilitazione dei locali comitati per l’acqua pubblica che hanno saputo raccogliere centinaia di firme a favore del referendum.

E’ evidente infatti che se la Federazione della Sinistra ha un futuro, questo non può che essere costruito a partire dal basso; dai conflitti e dai bisogni che esprimono le classi popolari dei nostri territori.