1° Congresso FdS- Relazione introduttiva

I° Congresso della Federazione della Sinistra dei “Castelli Romani”
13 novembre 2010 - Auditorium di Genzano di Roma

Relazione introduttiva al Documento Politico
Marco Bizzoni

Care compagne e cari compagni
Inizierò la mia introduzione al documento politico partendo dal suo punto conclusivo, i Giovani.
Ciò perchè la questione giovanile conclude il documento ma non è l'ultimo punto che la Federazione intende affrontare, a conferma di ciò basti considerare che quel capitolo nel sottotitolo afferma: “una sinistra con lo sguardo rivolto al futuro”.
I giovani, dunque, un tema ed una categoria scivolosi per la politica.
In una vignetta di molti anni fa un rappresentante del governo affermava: “abbiamo risolto il problema della disoccupazione giovanile, basterà aspettare che divengano vecchi”.
Questo negli ultimi anni è stato il massimo della riflessione e attenzione che la politica ha rivolto ai giovani. Che certo non sono stati dimenticati, ma di cui la politica se ne è occupata solo per denigrarli, con epiteti come: bamboccioni, inerti, incapaci oppure li si è abbandonati in pasto a quella che Daniel Pennac chiama nonnaccia marketing.
In questi anni in cui, malgrado la sconfitta epocale del movimento operaio, ci siamo battuti per mantenere viva una prospettiva per il comunismo in Italia nuove generazioni sono venute avanti, e, nostro malgrado, si sono ritrovate immerse nella palude falsamente oggettiva della ricostituzione del mercato unico mondiale, la globalizzazione guidata dalle idee neoliberiste.
Nuove Generazioni per cui l'abbattimento del muro di Berlino, del 1989, o la fine dell'URSS, del 1991, sono parte di una storia che non hanno vissuto ma che conoscono dai libri così come gli eventi della rivoluzione di ottobre del 1917. Eventi che i Giovani, con la prospettiva storica schiacciata sull'immediato propria della televisione, pongono quasi sullo stesso piano tra loro e con la Rivoluzione francese o il Risorgimento.
I nostri Giovani, in questi anni, sono cresciuti assediati sin dall'infanzia dal mercato, bombardati dalla pubblicità, perennemente stimolati al consumo.
Sono cresciuti in un contesto sociale in cui l'unico valore condiviso è quello dell'arricchire, non importa molto con quali modalità.
Sono cresciuti avendo a disposizione come modelli di apprendimento di adulti “arrivati”: faccendieri, truffatori, intrallazzatori, politici cinici o interessati unicamente alla propria autopromozione, senzali e ricattatori.

A questi giovani, nati nell'epoca in cui il neoliberismo celebrava se stesso con la promessa di fare tutti ricchi ed in cui Fukujama affermava la fine della storia e la supremazia del capitalismo, dobbiamo rivolgerci con impegno, passione e attenzione indicando prospettive politiche, civili, morali,etiche e sociale altre da quelle in cui sono stati allevati.
Come sapete la storia la scrivono i vincitori e quindi vi risparmio su come essi possano conoscere la storia del movimento operaio, internazionale e nazionale, o la storia patria per quanto riguarda il fascismo o gli stessi anni della Repubblica.
La loro vita è stata, ed è, un immenso reality in cui fiction e realtà sono sempre più venute integrandosi impedendo di distinguere tra realtà e fantasia.
E questa non è solo una difficoltà dei giovani basti vedere il disorientamento tra noi adulti sulla base delle informazioni contraddittorie che continuamente ci vengono propinate.
Con i giovani, in particolare, Nonnaccia marketing ha lavorato bene stimolando falsi bisogni, costruendo falsi miti, inventando stili di vita apparentemente esclusivi ma in realtà sempre più massificati e indotti.
Per questi giovani la politica è uno strumento necessario per farsi gli affari propri, diventare importante, conosciuto, potente o, più semplicemente, uno strumento per “oliare” la propria carriera professionale oppure, ancora più in basso, per trovare un lavoro.
In questa ottica i partiti servono solo ai politici per praticare la propria esclusiva autoaffermazione.
Per questi giovani il lavoro non è altro che lo strumento, con cui chi non ce la fa: “a viaggiare in prima con il drink in mano e tutto quel che vuoi” cerca, rateizzando, di dare ai suoi conoscenti l'apparenza di quell'immagine che il marketing ha imposto come vincente.
Restando imprigionati nello sforzo di cercare di dare di sé quell'immagine che la società dei consumi richiede se non si vuole essere considerati, dagli amici, dai parenti o dal gruppo dei pari fuori dal giro che conta.
Giovani fragili che vorrebbero essere sostenuti, che cercano un'idea nobile, che vorrebbero poter seguire modelli positivi ma che si vedono permanentemente riproporre ed imporrre la scelta individualista dell'homo homini lupus.
Giovani spinti costantemente in una lotta di tutti contro tutti in cui solo i più forti o i più furbi ce la possono fare, alcuni combattono, altri si sono già arresi, certi restano inerti sconfitti da se stessi. Alla fine ciò che resta è solo un immenso cinismo.
Il tutto spesso per ottenere la sicurezza di qualcosa che in realtà magari dovrebbe essere un diritto di tutti.
Credo che se vogliamo ricostruire una proposta politica per il futuro dobbiamo ripartire da qui.
Avendo ben presente che esistono anche forze, intelligenze, volontà che trovano sfogo ed impegno in molte realtà sociali.
Pensiamo ai giovani impegnati con Libera, a quelli che sostengono Emergency e quelli impegnati in altre decine e decine di diverse attività di volontariato.
Vi è dunque anche un'Italia, che non si arrende al Marketing, al buon senso peloso e caritatevole, alla violenza o alla volgarità, vi è un'Italia migliore che pretende un futuro diverso.
Negli ultimi anni non abbiamo saputo parlare a nessuno di questi giovani, né a quelli pervasi di individualismo né a quelli impegnati nel sociale.
E' ora compagne e compagni che, come ci ha insegnato il comandante Marcos iniziamo a camminare domandando, è ora che riprendiamo a cercare e sperimentare: modalità, linguaggi, proposte, che ci consentano quanto meno di entrare in comunicazione con queste realtà a cui dobbiamo riuscire a far comprendere che non si deve rinunciare alla lotta collettiva per un mondo migliore perchè non si può fare nulla, perchè sembra che nulla camberà mai, perchè il futuro sembra senza speranza.
Ricordando loro quanto ammoniva il compagno Guevara: “L'unica battaglia che ho perso è stata quella che ho avuto paura di combattere”.

Il compito che abbiamo nell'odierna assemblea congressuale è quello di discutere motivi e temi su cui privilegiare il nostro impegno con lo scopo di consentire alla sinistra di poter tornare a volare alto.
Apparentemente i temi enunciati nel documento, che si configurano come una sorta di programma di governo, possono essere considerati scontati. Ma ciò è una falsa apparenza, dovuta all'effetto sincronico che si sviluppa in chi, come noi, è sempre stato dalla stessa parte.
Ma se riflettiamo diacronicamente sulla fase e sui soggetti della politica attuale notiamo subito che essi, oggi, non solo sono temi fondamentali per chi intenda svolgere seriamente una politica al servizio della classe operaia e dei lavoratori, ma si potrà notare come quei temi siano assenti anche in soggetti politici che spesso ammiccano all'elettorato presentandosi come sinistra.
Da parte di tutte le forze politiche presenti, in Parlamento, al Governo o all'opposizione si torna a sentir parlare dell'importanza del lavoro.
Essa, però, è intesa in un modo particolare. La declinazione che tutti ne danno quotidianamente è tutta interna al concetto di coesione nazionale, nella battaglia produttiva internazionale dovuta alla globalizzazione.
Sempre più spesso sentiamo dire che siamo tutti nella stessa barca e, dunque, tutti dobbiamo spingere affinchè la barca non si fermi e possa giungere alla meta agognata.
Solo che in quest'apologo non viene detto che su quella barca c'è chi rema incessantemente e chi invece si diverte, mangia e balla.
Qui si pone la nostra diversità, Siamo tutti sulla stessa barca è vero ma non ci stiamo tutti allo stesso modo e noi vogliamo combattere e riequilibrare questa profonda ingiustizia.
Per questo, per noi, centralità del lavoro significa essere schierati dalla parte dei lavoratori e volersi assumere il compito della loro rappresentanza politica.
Noi non siamo equidistanti tra le ragioni dell'impresa e quelli della classe operaia e dei lavoratori.
Noi siamo decisamente di Parte, dalla parte di chi vive del proprio lavoro in qualsiasi condizione: come dipendenti a tempo indeterminato o determinato, co.co.pro. falsi autonomi, interinali, piccoli artigiani o piccoli commercianti.
Noi siamo da questa parte, che non ha più santi nel paradiso – Parlamento, e che è quella che sta pagando la crisi ed è quella a cui si vuole far pagare le politiche monetariste dell'Unione europea di riduzione del debito.
Riteniamo che, per tutelare i diritti dei lavoratori, sia necessario sviluppare politiche di ricomposizione del mondo del lavoro in controtendenza con il processo di divisione che, negli ultimi anni, lo ha indebolito.
Non è possibile però parlare di ricomposizione del lavoro senza affrontare la questione dell'immigrazione ed i suoi risvolti sociali. La politica delle destre criminalizza i migranti e tratta l'immigrazione come un problema di sicurezza, lasciando, a disposizione di un mercato del lavoro schiavistico, uomini senza tutele e senza possibilità di rivendicare diritti.
Tutto ciò non solo impedisce una vera ricomposizione del mondo del lavoro ma indebolisce anche la posizione dei lavoratori italiani nella tutela dei propri diritti.
Solo la solidarietà tra lavoratori, nativi e migranti, può consentire la difesa dei diritti dei lavoratori.
Per questo noi, idealmente, siamo tutti sulla gru di Bergano.
Per questo riteniamo che sia necessaria una sanatoria che elimini gli effetti di una legge sbagliata, iniqua e truffaldina. Una sanatoria che consenta, ai lavoratori migranti clandestini che già hanno pagato per ottenere il permesso di soggiorno, di poter iniziare a vivere in modo dignitoso del proprio lavoro senza essere considerati dei criminali solo per il fatto di essere stranieri. E quindi essere sfruttati nel lavoro
Riteniamo quindi che, la questione dell'integrazione dei migranti non sia questione di ordine pubblico, ma una questione decisiva per poter avviare una battaglia unitaria che porti allo sviluppo di politiche per una piena e buona occupazione per tutti.
Questa battagli si lega anche alla questione di genere ed alla strisciante regressione culturale in atto. Forze potenti sono al lavoro per far regredire il ruolo della donna a quello di angelo del focolare. Per questo riteniamo indispensabile il nostro impegno per impedire il risorgere di ogni forma di patriarcato assicurando che le donne possano avanzare verso un'effettiva parità di condizioni nel lavoro, nella società e nella famiglia a prescindere dagli impegni dei padri, mariti, compagni.

Sempre più il capitalismo mostra il suo volto predatorio e distruttivo e in tal modo conferma le previsioni di Marx, “Socialismo o barbarie”. O la classe operaia riuscirà a sconfiggere il capitalismo o si troverà coinvolta nella comune rovina della devastazione della terra.
Come leggere le recenti alluvioni in Veneto, ed a Salerno e tutte quelle che nel corso di questi anni si sono di volta in volta succedute di tragedia in tragedia di disastro in disastro? Come leggere le frane delle coste dei nostri laghi o il costante è permanente abbassamento del livello delle loro acque?
Qualcuno parla di fatalità, qualcuno della forza catastroficha della natura, noi diciamo che quegli eventi sono causati dalla volontà di profitto del capitale che consuma territorio senza curarsi della precarietà idrogeologica che si lascia alle spalle.
Per questo riteniamo che sia fondamentale sottrarre le risorse naturali ad ogni possibile tentativo di riduzione a merci e ci batteremo affinchè i beni comuni e i servizi essenziali non siano soggetti a processi di privatizzazione.
Oltre a ciò bisogna aver presente che alcuni beni comuni, come i processi di conoscenza, sono elementi essenziali per la democrazia. Noi riteniamo che la cultura sia un patrimonio universale che va garantita a tutti attraverso un diritto all'istruzione obbligatoria per tutti, pubblica e di massa sino ai 18 anni.
Altri, ma sembra che di ciò si vergognano visto che approvano i provvedimenti di notte, ritengono che la scuola debba avere un segno di classe e religioso e quindi escludono la scuola privata dai tagli di bilancio necessari al risanamento del sistema Italia.
A 150 anni dalla costituzione dello Stato unitario riteniamo ormai fondamentale la costruzione di uno stato laico.
Non stiamo chiedendo l'ateismo di Stato, ma che sia rispettato il principio di “libera chiesa in libero stato” enunciato da quel sovversivo di Cavour.
Intendiamo continuare ad impegnarci per la pace ed il disarmo, contro ogni guerra, contro ogni forma di imperialismo o neocolonialismo. Per questi motivi riteniamo giunto il momento dell'uscita dell'Italia dalla Nato, divenuta ormai l'illegittimo gendarme del mondo.
Nello stesso tempo è necessario lavorare per il superamento della Nato operando affinchè l'Unione Europea si doti di una propria comune politica di sicurezza e di pace.
A tal fine crediamo che sia necessario anche abbattere il carattere a-democratico dell'Europea e procedere ad una sua rifondazione per questo proponiamo che i cittadini possano eleggere direttamente un'Assemblea Costituente con il potere di dare all'Europa basi democratiche.

Negli anni '90 il sistema politico italiano ha cercato nuove strade per cercare di uscire da quella crisi della politica di cui si era iniziato a dover fare i conti sin dalla fine degli anni 70, che fu denunciata da Berlinguer con la “questione morale” e che vide il suo epilogo con tangentopoli.
I partiti sempre più si erano venuti trasformando da organismo di partecipazione di massa alla vita del Paese a lobby di interessi e gruppi ristretti di potere.
Sotto il peso del discredito morale causato da tangentopoli la forma partito perse ogni autorevolezza. In tali condizioni fu facile per i costruttori dell'opinione indicare la responsabilità di quella condizione ad un sistema elettorale e spingere il Paese ad accogliere l'idea di sottoporre la rappresentanza a criteri come il maggioritario ed il bipolarismo che facevano venire meno il ruolo dei partiti come collettivi di cittadini organizzati all'insegna di un progetto politico e la necessità assoluta della governabilità.
Fummo allora profeti quando prevedemmo che tutto ciò avrebbe portato alla realizzazione di una casta di professionisti il cui orizzonte politico generale sarebbe stato limitato al proprio successo personale e che i partiti sarebbero divenuti delle strutture composte da potentati e regolati da accordi di potere.
Già allora la pezza era peggiore del buco come mostrarono i risultati elettorali e le successive modifiche elettorali.
Poi piccoli interessi di bottega si incontrarono e peggiorarono quelle condizioni consentendo la nascita del PDL e del PD.
A quel punto sembrava che la transizione al bipolarismo dell'alternanza fosse ormai compiuta con la costituzione del governo con la più ampia base parlamentare, grazie al premio di maggioranza, da una parte, e la cancellazione della sinistra dal Parlamento dall'altra.
Una cosa è certa quanti hanno individuato nel maggioritario e nel bipolarismo la soluzione della crisi della politica in realtà non hanno fatto altro che alimentarla trasformando i cittadini da soggetti attivi a fruitori passivi di scelte che spesso non vengono più nemmeno discusse nei luoghi deputati.
Oggi con la crisi del Pdl e con l'esasperata dialettica interna del PD è ormai chiaro a tutti che la seconda repubblica che doveva risolvere la crisi della politica è ormai finita ed è necessario prendere altre strade.

La crisi della sinistra, il cui esito finale ha avuto come risultato, la sua cancellazione dal Parlamento, è iniziata con la sua incapacità di sottrarsi al processo di trasformazione dei Partiti in apparati di potere e luoghi di ricomposizione delle aspettative degli eletti.
A sinistra, pur mantenendo alto quello spessore ideale che altrove invece diviene sempre più la foglia di fico con cui si nascondono i rapporti di potere, si è messo in secondo piano il valore dell'unità rispetto all'esigenza di essere personalmente in primo piano.
Tutto ciò insieme alla perdita di ogni legame tra visione di partito e interesse nazionale, ovviamente nell'ottica che il bene della classe era il bene della nazione, ha prodotto un'estrema frammentazione e frantumazione della sinistra.
Il tardivo tentativo di porvi rimedio ha prodotto una risposta inadeguata che non è risultata credibile ai cittadini.
Cancellata dal Parlamento, nella sinistra, si sono evidenziate due diverse prospettive: quella di Vendola, che accetta l'ambito del capitalismo e continua a pensare che con il PD sia possibile realizzare un governo che dica cose di sinistra.
La nostra prospettiva, che prende atto, con il fallimento dell'esperienza del governo del 2008 e la successiva campagna elettorale, della trasformazione ormai compiuta e vede nel PD l'espressione della sinistra dell'ideologia neoliberista.
A partire da questa valutazione si è ritenuto necessario lavorare alla realizzazione di una sinistra in grado di poter rappresentare il movimento operaio e dei lavoratori, una sinistra non subalterna al centrosinistra ma con una forte autonomia ideologica, politica e programmatica oltre che di pratica sociale.
Una sinistra che non si pone nella logica dell'alternanza dei governi ma lavora per realizzare l'alternativa all'attuale sistema sociale.
Il Congresso di Fondazione della Federazione della Sinistra è, dunque, il punto di arrivo di un processo avviato per consentire la nascita di un nuovo soggetto politico unitario e plurale.
Secondo un modello che, rispecchiando l'articolazione della società odierna polverizzata nelle mille identità, consentisse l'interlocuzione di forze provenienti da diverse culture e nello stesso tempo assicurasse la massima unità di analisi e di azione.
Come sempre l'innovazione ha un cuore antico è, quindi, si è scelto il modello dell'FLM, che, tra la fine degli anni '70 e gli anni '80, riunificava i sindacati metalmeccanici permettendo ai lavoratori di aderire anche a prescindere dalle singole organizzazioni.
Sino ad oggi, nel processo di realizzazione della Federazione, ciò che si è riusciti a realizzare è stato poco di più di un semplice “cartello elettorale”, ma non è questo l'orizzonte ultimo a cui ci stiamo indirizzando, l'ambizione a cui stiamo lavorando.
La Federazione nasce per unire oltre le attuali appartenenze tutti quelli che si riconoscono nelle idee di critica al capitalismo e che, quindi, ritengono necessaria una conseguente azione politica.
Per questo motivo il congresso che ci accingiamo a svolgere è anche un punto di partenza per l'allargamento della Federazione a tutti quelle forze che come noi condividono la necessità di ricostruire una forte sinistra.
Vogliamo costruire una forza di sinistra simile a quelle esistenti in quasi tutta Europa e nei paesi del Sud America, una forza che si pone l'obiettivo di battersi per costruire il socialismo del XXI° secolo.
La grande stampa italiana, cosiddetta libera, che sino a poco tempo fa si limitava a sminuire le nostre idee bollandole come residui del passato senza seguito nel mondo oggi è particolarmente attenta ad impedire che ogni nostra idea possa essere conosciuta dai cittadini e dai lavoratori italiani.
Eppure la grande battaglia a cui abbiamo partecipato dell'acqua bene comune, non è la stessa che ha visto la Bolivia non solo riassumere la dignità di Stato con la ripubblicizzazione delle concessioni di sfruttamento delle acque, ma anche riassumere una dignità di popolo con l'elezione di un indio, Morales, a Presidente della Repubblica.
Eppure le nostre proposte di redistribuzione del reddito ai lavoratori non sono le stesse che Chavez, in Venezuela, ha messo in atto nazionalizzando l'industria petrolifera ed utilizzandone i profitti per accrescere reddito e dignità del popolo.
E ancora, in Brasile, non è stato possibile con le idee di giustizia sociale eleggere come Capo di Stato un metalmeccanico ieri ed oggi un ex rivoluzionaria.
Ho citato questi casi, ma ce n'è sarebbero altri, per mostrare che oggi , nel mondo, le idee di giustizia sociale che propugniamo non sono dei ferrivecchi ma strumenti con cui alcuni popoli si stanno costruendo un nuovo futuro.
Peggio di così la grande stampa, sia essa borghese moderata come il “Corriere della Sera” o borghese di sinistra come “la Repubblica”, si comporta con i partiti di sinistra dei vari paesi europei. I lettori, i cittadini, i lavoratori italiani non devono sapere ad esempio che in Germania, alle elezioni regionali di maggio, la Linke ha conquistato il 6% entrando in un Parlamento dove non era presente. Oppure, come è successo pochi giorni fa, la cosiddetta stampa libera è costretta a nascondere la travolgente avanzata dei comunisti greci che ha visto quel partito, nel volgere di pochi mesi, passare dal 7,5% all'11%, sulla scorta della battaglia di rifiuto e opposizione, della politica economica e sociale, concordata dal centrosinistra greco con l'Unione Europea e condivisa dall'opposizione di centrodestra.
Lì, i lavoratori, hanno ben compreso che l'unico esito di quelle politiche era quello di scaricare su di loro il costo della crisi.
Tutto ciò sembra indicare che oggi, come ieri, di nuovo uno spettro si aggiri per l'Europa.
Proprio per esorcizzare tale spettro la stampa borghese evita, con particolare impegno, di informare la pubblica opinione italiana sui successi elettorali della sinistra in Europa .
Tale impegno è secondo solo a quello profuso per evitare che i cittadini, i lavoratori, l'opinione pubblica possano sapere che in Italia esiste una sinistra che dice cose di sinistra e che, malgrado le sconfitte, si sta riorganizzando per poter contare e per far si che il domani sia diverso.
E' con questo spirito che i quattro soggetti fondatori della Federazione si sono posti di fronte alla necessità di costruire un nuovo soggetto politico che potesse essere un elemento di riaggregazione a sinistra.
Invece di negare le identità, cercando una sintesi coatta di tutte le esperienze realizzando un improbabile unicum identitario, si è scelto di mantenere il valore delle esperienze del movimento operaio, del movimento ecologista, del movimento pacifista, della critica al patriarcato riconoscendone le diverse e feconde identità, e a partire da ciò ci si è messi alla ricerca del molto che esse condividono per trovare i punti comuni di azione piuttosto che evidenziare ciò che divide.
In tal modo si è venuto realizzando un soggetto politico plurale che ha l'ambizione di conquistare delle basi di massa, in grado di rovesciare le sorti della Sinistra italiana e capace di riprendere il percorso interrotto della costruzione del socialismo.
Nel far ciò dobbiamo avere ben presente che le esperienze del movimento operaio del 900, con le sue divisioni, sono ormai storicamente concluse.
E' necessario considerarle superate, senza dimenticarle e senza rescindere i nostri legami con esse, ma avendo presente la necessità, per poter riprendere un cammino efficace, di dover declinare in forme nuove la costruzione del socialismo.
Concludo con un'ultima citazione "Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita.” Enrico Berlinguer

1° Congresso FdS - Dibattito

La compagna Bevilacqua da la parola alle delegazioni dei partiti:


IdV Luca Di Teodoro: Augura buon lavoro alla neonata FdS. Il lavoro svolto negli ultimi tempi, le iniziative e le manifestazioni svolte per vertenze territoriali e nazionali sono state partecipate esclusivamente dagli schieramenti politici dell’IdV, del PdCI e del PRC. Andando nello specifico del territorio nota uno smarrimento dei giovani genzanesi sia come cittadini che come membri attivi della politica. Auspica una collaborazione con la FdS per scuotere la coscienza civica delle persone cercando di attuare dei miglioramenti su ciò che abbiamo ereditato, mettendo in campo le lotte ed impiegando più forza nelle battaglie comuni.


Sinistra Critica Nicola Casubolo: saluta e augura buon lavoro alla FdS. “Ricorda” che le lotte non si fanno solo nelle sezioni ma anche e soprattutto nelle strade. Disponibilità a collaborare nelle lotte e nelle istanze dei cittadini.


PD Giacomo Tortorici (area Bersani): saluta e augura buon lavoro alla FdS e auspica in un immediato futuro, una collaborazione attiva e rispettosa con la FdS. Comunica il congresso di circolo del PD in data 27 novembre.


Tomei (consigliere comunale del PdCI di Ariccia): occorre unire la sinistra perché così spaccata non serve a nessuno. Le lotte occorre farle nelle piazze, ma ciò non esclude il dovere di lottare all’interno delle istituzioni. Nel calendario istituzionale della FdS dovrebbe esserci l’annullamento dei patti territoriali, il nostro ritorno tra la gente, le vertenze dei lavoratori, ecc. I cittadini ci vedono non più come rappresentanti dei lavoratori e delle minoranze ma come retrogradi e semplici idealisti. Occorre aprirsi ed essere disponibili alla collaborazione con tutte le forze di sinistra per lavorare insieme e non ghettizzarsi.




























Emendamento Di Mauro Parretti (Castelgandolfo)

Occorre che si attui con la consapevolezza di essere in una situazione storica in cui il capitalismo ha da tempo smesso di avere una funzione storica positiva mediante l’accumulazione di risorse produttive e rappresenta ormai solo un ostacolo ad ogni ulteriore progresso dell’umanità.

Solo a partire dalla constatazione della irreversibilità della crisi del capitalismo e dalla comprensione della sua natura paradossale è possibile trovare il percorso verso una società che possa superarne le contraddizioni.

Come previsto da Marx, la prima grande crisi del capitalismo culminò con quella del ’29.

La natura paradossale della crisi dovette essere accettata, seppure a fatica, anche dagli economisti non marxisti, che trovarono nel keynesismo una spiegazione ed una soluzione temporanea della crisi più digeribile di quella di Marx.

Quando la produttività diventa molto elevata, il lavoro necessario ad una produzione aggiuntiva diventa molto scarso. Allora la quota di quella produzione che deve tradursi in consumi, che sono solo quelli della mano d’opera necessaria, diventa estremamente piccola.

La quota complementare, che il capitale trattiene per sé, e che è costituita da investimenti aggiuntivi, deve pertanto essere estremamente grande.

Ma, se la produzione aggiuntiva possibile implica un aumento di consumi molto piccolo, richiederà un incremento di capitale molto piccolo e quindi la quota di nuovi investimenti, che deve essere estremamente grande, trova una domanda molto piccola e dunque insufficiente. Questa assenza di un mercato di sbocco impedisce che avvenga una produzione aggiuntiva, anche se le risorse produttive esistono e sono anzi sovrabbondanti.

Dalla prima grande crisi si uscì con la brillante invenzione keynesiana dello stato sociale, che permise di continuare l’accumulazione capitalista.

Poiché ogni produzione aggiuntiva che si realizzi, genera anche una tassazione aggiuntiva, lo Stato, aggiungendo una quota di consumi pubblici a quella, di per sé troppo scarsa, dei consumi del lavoro, poteva rendere congrua la quota di nuovi investimenti, altrimenti troppo grande, e dunque possibile la realizzazione di produzioni aggiuntive, via via crescenti.

La tassazione aggiuntiva conseguente, faceva rientrare lo Stato della spesa, inizialmente sostenuta, senza generare inflazione.

Questa soluzione permise la continuazione di uno sviluppo capitalistico addirittura enorme ed accompagnato da un elevato progresso sociale.

Come però aveva previsto Keynes, questa soluzione sarebbe stata temporanea perchè, quando la società fosse arrivata a soddisfare la gran parte dei bisogni primari, anche i lavoratori avrebbero iniziato a risparmiare una piccola quantità del loro reddito, riproponendo un drastico limite ai consumi rispetto alla produzione possibile.

Lo stato sociale portò, seppure contraddittoriamente, in quanto funzionale alla prosecuzione dell’accumulazione capitalista e subalterno alla legge del profitto, a quella condizione, altamente produttiva, che Marx aveva previsto che avvenisse in una società già socialista, adeguata all’introduzione progressiva del comunismo, cioè al superamento della pura e semplice egoistica appropriazione di risorse nell’esercizio del lavoro umano.

Pur nel limitato orizzonte capitalista, anche Keynes espresse la necessità di superarne in qualche forma i meccanismi, quando si fosse giunti alla condizione in cui il capitale avrebbe smesso di essere scarso e previde che sarebbe avvenuta l’eutanasia del risparmiatore.

Occorre allora comprendere che una economia finanziaria, in apparenza svincolata dalla economia reale, è dovuto dal perdurare della legge del profitto oltre ogni limite e rappresenta il modo in cui, mediante l’inflazione progressiva e le periodiche cadute delle borse, si svalutano numerosi piccoli risparmi, affinchè pochi grandi capitali possano avere un profitto positivo in un “gioco a somma zero”.

Dal lato dell’economia reale, poiché lo stock di capitale reale necessario non cresce, si tende a rendere necessario ciò che non lo è, creando capitalizzazioni ben oltre le stesse regole capitaliste, arrivando a privatizzare risorse non operabili in un regime di concorrenza, come autostrade, ferrovie, sistemi di telecomunicazione, acquedotti, e così via ed inventando capitalizzazioni immateriali innecessarie, come quote di mercato, brevetti su formule scientifiche, relazioni pubbliche e lobby, diritti di edificabilità dei suoli, permessi, concessioni e così via.

Ma, se vogliamo che l’alternativa possa scalzare il capitalismo, deve proporre i cambiamenti necessari affinchè un nuovo modo di produrre e riprodursi possa essere praticabile, superando quelle contraddizioni.

La crisi del capitalismo si manifesta nella difficoltà a riprodurre tanto il capitale, quanto il lavoro salariato, entrambi eccedenti sul mercato.

Per questo è necessario che i lavoratori possano produrre senza la mediazione e lo sfruttamento del capitale.

In questo momento storico però per ottenere questo non è più sufficiente l’appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori, ma è necessario che il lavoro salariato riesca definitivamente a superare la sua condizione di merce, per di più sovrabbondante.

Occorre la consapevolezza che, in una situazione di estrema produttività come quella attuale ed in presenza di una globalizzazione dell’economia, non è più sufficiente la contrattazione collettiva a livello nazionale, ma è necessario passare ad una armonizzazione del costo del lavoro a livello europeo e poi mondiale, in modo che, così come ci si preoccupa che avvenga per le altre merci, anche per la merce forza lavoro non ci sia concorrenza sleale.

Questo principio di controllo dell’offerta e contrattazione collettiva deve estendersi progressivamente alle regole del commercio internazionale, affinchè non si delocalizzino selvaggiamente le produzioni alla ricerca del lavoro a costo più basso e si capisca che a salari più bassi corrisponde una più bassa capacità di consumo ed una spirale recessiva inarrestabile.

Solo la contrattazione internazionale del salario può impedire il continuo impoverimento dei lavoratori e, successivamente, consentire che, accanto ad un maggior soddisfacimento dei bisogni principali, che non sfoci nel consumismo e nel degrado ambientale, si realizzi una progressiva riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Ma porre la centralità del lavoro senza porre simultaneamente il superamento del lavoro salariato stesso sarebbe velleitario.

A chi reclamare il diritto al lavoro, se il capitale non è più in grado di mediare lo sviluppo sociale?

Su questo si misura il socialismo del XXI secolo, che deve saper trarre dagli errori, spesso drammatici, sia del socialismo bolscevico, che della socialdemocrazia del welfare, gli elementi per riproporre un socialismo scientifico e non moralista ed utopistico.

Dobbiamo comprendere la storia del ‘900 e gli errori delle prime forme di socialismo realizzate.

Tutte le “rivoluzioni socialiste” del ‘900, a partire dalla rivoluzione d’ottobre, si sono realizzate in società ben lontane da quella maturità capitalista che, secondo Marx, doveva rendere possibile e necessaria l’introduzione del socialismo, scientifico proprio in quanto frutto della realtà storica.

Invece è successo che guerre di liberazione nazionali, abbattimenti di dittature precapitaliste e rivoluzioni antifeudali hanno visto la partecipazione egemonica di forze socialiste, che hanno preso il potere e realizzato un socialismo che è stato frutto di un progetto intellettuale, prematuro in situazioni ancora caratterizzate dalla scarsità di risorse, basato su un egalitarismo morale e dunque troppo simile ad un capitalismo di stato, con un meccanismo distributivo calato dal’alto.

Come non ricordare che l’accumulazione di capitale, necessaria all’industrializzazione accellerata dell’Unione Sovietica, fu sì ottenuta senza la sferza del capitale, ma drammaticamente sostituita da quella staliniana.

L’assenza delle condizioni economiche adeguate, quelle cioè di un capitalismo maturo ed in crisi da sovrapproduzione, ha reso necessario che lo Stato, per di più ereditato dalla società preesistente, finisse per sostituire la socialità delle relazioni produttive nella costruzione del socialismo, confondendo la socializzazione con la ingenua statalizzazione.

D’altro canto la “soluzione” dello stato del welfare, anch’essa tecnico progettuale, tanto da essere indicata nella vulgata come la “ricetta” keynesiana, si è pure basata sull’attività dello Stato come appoggio e parziale sostituto del capitale, ma subalterna ed asservita al meccanismo capitalista.

Con Darwin, Marx e Freud, l’umanità si è trovata dinanzi all’imbarazzante conoscenza della propria natura, quella di una specie, dotata di un intelletto, ma la cui azione è fondamentalmente guidata dalle pulsioni e la socialità si realizza mediante le autocostrizioni del Super-Io.

Lo sviluppo della civiltà ed il lento, faticoso, superamento dell’ è sempre andato di pari passo con l’aumento della produttività del lavoro umano e dunque con la soddisfazione crescente dei bisogni primari.

Tutto il ‘900 sembra invece svolgersi all’insegna di una gigantesca rimozione collettiva di quelle scomode ed avvilenti conoscenze della natura umana ed alla ricerca di una autoesaltazione eroica, cosicché i primi tentativi di superamento del capitalismo si sono entrambi ingenuamente basati sulla costruzione di un socialismo etico ed intellettualmente concepito, anziché sul materialismo storico, o comunque su un’analisi antropologica scientifica, che facesse i conti con quello che l’umanità è e non con quello che vorrebbe essere, così come con quello che è possibile e storicamente necessario e non con quello che è moralmente ed utopisticamente desiderabile.

Aldilà del grado di “ritorno a Marx”, è comunque necessario uscire dalla superficiale dicotomia Stato-Mercato, riuscendo ad individuare il modo concreto di realizzare “la produzione senza il capitale” come produzione direttamente sociale.

Per quanto concerne il mercato, occorre approfondirne il duplice aspetto, che Marx evidenziava:

  1. La funzione, tendenzialmente positiva, del mercato come sanzione sociale della necessarietà ed utilità sociale dell’attività svolta (insomma come luogo ideale dove chi produce male, in modo obsoleto, o pigro, o cose che agli altri non interessano, deve fare i conti con lo “stato dell’arte”, con “l’innovazione” e con “l’utilità altrui”).

  2. La funzione di sanzione sociale di scarsità, o sovrabbondanza, che serve all’equilibrio produttivo, ma che è tendenzialmente negativa in una situazione di strutturale sovrabbondanza di una merce, quando questa rappresenta l’unica fonte di reddito di un gruppo sociale.
    In tal caso il mercato genera una situazione di guerra di prezzi al ribasso tra i detentori di tale merce che è dannosa per tutti.

Quando alla fine degli anni ’70, la sinistra storica ed i sindacati commisero l’errore di ritenere che, diminuendo il salario, sarebbe cresciuta la domanda complessiva di lavoro, anziché portare la contrattazione collettiva nazionale del salario a livello europeo e sottrarlo alla concorrenza internazionale, iniziarono ad accettare la visione liberista del lavoro, fino a riportarlo alle condizioni di precarietà, bassi salari e concorrenza di paesi a maggior grado di sfruttamento.

Di fronte alla elevatissima produttività che la tecnologia ha prodotto, l’umanità deve comprendere che, per la prima volta nella storia, il lavoro necessario alla riproduzione sociale è molto poco. Ma se il senso comune continua a ragionare con la logica del profitto e dell’accumulazione, la soddisfazione di bisogni via via crescenti, pur se possibile, non avviene perché deve ancora passare attraverso la mediazione del capitale, deve dare luogo ad una produzione di merci che debbono servire al profitto, cioè ad accumulare il capitale, che però non ha un valore d’uso e quindi quella soddisfazione dei bisogni, pure possibile, non avviene perché è il capitale e la possibilità del profitto che dettano le regole.

Dobbiamo allora superare la paradossale contraddizione del capitalismo che è davanti a noi da più di quarant’anni: dal lato di chi vive del proprio lavoro ci sono bisogni che non si traducono in domanda di consumi per l’assenza di reddito, mentre dal lato dei risparmiatori c’è un reddito che evapora costantemente nei meccanismi finanziari perché non può tradursi in domanda di investimenti che non avrebbero un’utilità.

Eppure si costringono i lavoratori ad accettare salari basati su una produttività che è misurata in denaro prodotto per unità di lavoro, come se un impianto efficientissimo, che funzionasse solo al 20% della sua capacità per mancanza di domanda, fosse per questo non produttivo.

Ma proprio dai primi ingenui tentativi di superamento del capitalismo, quello bolscevico, costruito in condizioni di bassissima produttività e che ha dovuto quindi produrre un’accumulazione di capitale senza capitalismo, come quello socialdemocratico, costruito in condizioni di elevata produttività, ma per proseguire e rendere ancora temporaneamente possibile l’accumulazione capitalista, dobbiamo trarre la riflessione sul ruolo dello Stato, che ha dovuto rappresentare in entrambi i casi l’attore di un cambiamento che, proprio in quanto progetto esterno, doveva essere introdotto per legge.

Ma se nella società non esistono ancora nuove relazioni produttive e riproduttive, che implichino nuove relazioni sociali, lo Stato, sovrastruttura giuridica e diretta emanazione della politica, non può essere l’attore del cambiamento, ma saranno i mutamenti delle relazioni riproduttive e sociali che dovranno cambiare lo Stato.

Sarà dunque necessario che si sviluppi l’associazione di liberi produttori, in forma cooperativa e no profit, senza la mediazione del capitale (cioè dove il valore aggiunto è trasformato in reddito personale e non in rendita o interesse), né dello Stato, elementi esogeni ed arbitrari, affinché riprenda e si espanda la soddisfazione dei bisogni umani aldilà del capitalismo.

Altrimenti lo Stato continuerà a rispecchiare il vecchio capitalismo e la maggioranza continuerà ad essere la somma di interessi particolari e quindi corporativi, e, proprio in quanto attore economico, sarà facilmente oggetto di lobbismo e corruzione.

Come non riconoscere infatti che una gran parte dell’imprenditorialità si basa oggi su adeguate “relazioni pubbliche”? presso le banche per ottenere un normale credito, presso gli appaltatori pubblici per avere commesse sufficienti, presso i legislatori per ottenere permessi, licenze, autorizzazioni e conformità, quando non addirittura leggi ad personam (come assegnazione di frequenze televisive, o possibilità di operare in condizione di monopolista).

Ma il socialismo del XXI secolo deve anche tener conto di un modo di riprodursi completamente nuovo, che già comincia ad implicare relazioni sociali completamente nuove e determina l’emergere oggettivo dell’egemonia sociale della donna.

Se la selezione naturale ha reso la femmina dell’umano, così come della quasi totalità delle specie animali, più debole, incapace a procacciarsi la sussistenza e legata alla procreazione nell’esercizio, spesso forzato, della sessualità, il capitalismo ha introdotto due mutamenti nel processo storico:

  1. Con l’introduzione dell’energia artificiale ha reso la forza lavoro femminile altrettanto produttiva di quella maschile e la donna è divenuta capace di provvedere alla propria sussistenza e perfino a quella della prole.

  2. Con l’introduzione degli anticoncezionali ha separato dalla procreazione l’esercizio della sessualità, rendendolo libero, sia per l'uomo che per la donna, ed ha posto la donna nella condizione oggettiva di poter:
    a)- stabilire a proprio piacimento l’esercizio della propria sessualità.
    b)- procreare anche senza l’esercizio della sessualità e l’intervento diretto dell’uomo.
    c)- provvedere a se stessa ed alla propria prole.
    d)- stabilire se, chi, e come abbia funzione paterna nei confronti della prole.

La sessualità è repentinamente divenuta pertanto una questione relegata a fatto privato, irrilevante per il resto del corpo sociale, così che coloro che per “natura”, o per scelta esistenziale, o per eventi della propria infanzia, manifestino una sessualità, finora considerata atipica in quanto non adeguata alla procreazione, non rappresentano più socialmente, al pari degli altri, alcunché di rilevante.

La donna, sia essa eterosessuale, o lesbica, è comunque in condizione di poter procreare.

La precedente egemonia sociale maschile, legata alla sua sua forza fisica ed alla conseguente capacità a procacciare la sussistenza propria, della “sua” donna e della “sua” prole, che si esprimeva, nelle varie forme e situazioni sociali, mediante il “domino”, si trova ora a dover metabolizzare la propria, attuale “marginalità sociale”.

Le nuove condizioni della riproduzione hanno confinato la sessualità alla sfera del privato e
1- reclamano la parità di diritti sociali per tutti, indipendentemente dalla propria sessualità

2- hanno reso la donna egemone nella funzione riproduttiva e nella tutela della prole.

Questa nuova “egemonia sociale” emergente della donna, talvolta si scontra con il sistema di relazioni sociali precedente, basato sull’egemonia maschile e contraddistinto dall’uso della violenza nelle relazioni sociali e verso l’oggetto del proprio desiderio.

Ma questa violenza nelle relazioni sociali, ben lontana dall’essere “levatrice della storia”, è considerata ormai dal senso comune come un elemento di pericolosità sociale.

Occorre che i valori, che la centralità e l’egemonia sociale femminile possono recare, come il superamento della violenza e dell’accaparramento nelle relazioni sociali, diventino anche egemonia culturale e possano condurre, in questa situazione di potenziale sovrabbondanza, a saper lavorare come libera realizzazione umana, che porti ciascuno a dare secondo le proprie capacità affinchè sia possibile che ciascuno possa ricevere secondo i propri bisogni.

Tra le pieghe della società in crisi, comincia infatti ad emergere la consapevolezza che non è possibile migliorare la qualità della propria vita, se non migliora anche quella dei propri vicini. Questo si manifesta in un maggiore sensibilità verso l’ambiente e l’uso delle risorse naturali comuni e non rinnovabili e verso la condivisione della tecnologia e della produttività con nazioni e popoli ad un minor livello di sviluppo, affinché l’integrazione multiculturale renda la Terra vivibile in pace.

La permanenza però di un meccanismo produttivo capitalista e le incertezze che la sua crisi provoca oscurano con emergenti paure i nuovi valori sociali di solidarietà e tolleranza.

Sono le paure di un futuro incerto, che la crisi del capitalismo provoca:

- della disoccupazione di massa e della precarietà tra i giovani,

- della insicurezza del potere d’acquisto della pensione nel tempo tra i vecchi,

- della perdita del posto di lavoro e dell’aumento dell’età pensionabile tra gli occupati anziani.

Ma un altro tipo di paura si impone. Se il capitalismo in crisi colpisce i paesi più sviluppati, esso ha già duramente colpito i paesi del terzo mondo, dove ha provocato condizioni di nuove povertà che si aggiungono alle vecchie.

Da tanti paesi partono drammatiche migrazioni di grandi masse, in cerca di condizioni di vita migliori verso il primo mondo, già esso stesso in crisi.

Per i migranti non vi sono grandi risorse, ma condizioni di vita drammatiche, talvolta in condizioni di clandestinità e di sfruttamento intensivo.

Spesso provengono da paesi in cui non si è ancora sviluppato il capitalismo, in cui i valori della società borghese non hanno ancora attecchito e le relazioni sociali sono quelle di società arcaiche, feudali, o tribali.

Per essi la società capitalista in crisi non riesce a rappresentare un ideale di civiltà più produttiva, con relazioni sociali più avanzate da acquisire. Perciò spesso la normale tendenza a ritrovarsi e riformare le comunità etniche originali diventa un modo per mantenere la propria identità in una situazione di crisi e pericolo e rifiutare un modello culturale e civile, non promettente, né esaltante.

La reazione dei cittadini dei paesi ospitanti, aldilà della usuale diffidenza verso il “diverso”, spesso sconta anche la distanza enorme che separa una società dove vigono rapporti sociali precapitalistici, di assoluto dominio maschile, sottomissione della donna e violenza nei rapporti sociali e familiari, da quella dove si va affermando la tendenziale egemonia femminile e la violenza privata è ormai percepita come un elemento di pericolosità sociale.

La crisi della civiltà ospitante non le permette di presentarsi come modello di riferimento, capace di integrare quelle ospitate, accogliendone gli aspetti culturali, ma costringendole a fare i conti con la modernità delle proprie relazioni sociali. La sua debolezza, in assenza di un’alternativa reale, fa emergere nel confronto etnico solo paure e diffidenze e favorisce da entrambi i lati le chiusure, la xenofobia, il razzismo, l’esaltazione acritica della propria morale o della propria religione!

Questo rende difficile, ma urgente, che l’affermazione dei diritti civili, la difesa della legalità, la sconfitta della violenza nelle relazioni sociali, l’eliminazione del lavoro nero e precario, il superamento della concorrenza tra lavoratori, il diritto all’istruzione ed alla conoscenza, garantito da scuola e università pubbliche e gratuite, le politiche per la piena occupazione e per orientare l’economia a fini sociali e redistribuire le risorse a vantaggio del lavoro, siano legati alla tutela dei migranti ed all’impegno contro razzismo, xenofobia ed ogni forma di neofascismo.

La politica fiscale deve, insieme alla redistribuzione di risorse verso i meno abbienti, favorire la spesa del reddito e penalizzare il risparmio in forma monetaria.

Può dunque prevedere la detassazione dei redditi spesi per acquistare lavoro in forma diretta, o da imprese cooperative e no profit e dunque favorire la circolazione del reddito.

Può viceversa penalizzare con aliquote alte il reddito non speso, ma prevedere la detassabilità per contributi previdenziali anche in forme volontarie o diverse da quelle usuali dei lavoratori salariati, permettendo e favorendo quelle forme di risparmio volontario e variabile che esprimono l'esigenza di assicurare a se stessi ed ai propri congiunti un futuro certo e sicuro.





emendamento di Francesco Ammendolia, Mauro Anzuini, Giorgio Barbieri, Carlo Cortuso, Alessandro D’Angelillo, Piero D’Angelillo, Melissa De Carolis, Stefano Paterna (Genzano di Roma)


DAL BASSO,

DAI MOVIMENTI,

COSTRUIRE LA SINISTRA DI ALTERNATIVA

COSTRUIRE LA FEDERAZIONE

Il Congresso territoriale della Federazione della Sinistra dei Castelli Romani riconosce le pratiche di mutualismo e le relazioni paritarie con i movimenti e le vertenze sociali presenti nella nostra zona come due elementi fondanti della propria identità di Sinistra di Alternativa.

La creazione di Gruppi di Acquisto Popolare, di corsi di sostegno gratuiti per studenti in difficoltà e di lingua italiana per migranti, l’apertura di palestre popolari e di ambulatori sociali, cosi come tante altre modalità di intervento che non è possibile menzionare in questa sede, costituiscono le fondamenta di un nuovo modo di fare politica nell’epoca della crisi del capitalismo.

Queste pratiche consentono infatti di rispondere a bisogni immediati dei cittadini e, in particolari delle classi popolari. Su di esse, pertanto, è possibile ricostruire, per dirla con Gramsci, una “connessione sentimentale” con il nostro popolo che anni di politicismo e di mancati risultati concreti hanno allontanato dalla politica e dalla Sinistra. Queste tipologie nuove di militanza non sono affatto una negazione della politica come elaborazione culturale e formazione di quadri, ma ne costituiscono invece una parte essenziale.

E’ sufficiente citare la splendida esperienza delle Brigate di Solidarietà Attiva (alle quali partecipano tante compagne e compagni dei nostri circoli) in Abruzzo e in questi giorni in Veneto, per rendersi conto del valore politico di queste esperienze. Esperienze che ora hanno trovato una comune forma organizzativa nella RAP, la Rete per l’Autorganizzazione Popolare che raggruppa associazioni, gruppi di acquisto, mutue autogestite, e che avrà la sua assemblea costitutiva a fine anno.

L’altro elemento che la Fds del territorio individua come centrale nella sua azione politica è la costruzione di relazioni paritarie con i movimenti di base ambientalisti e sociali presenti nei Castelli Romani: relazioni ovviamente improntate al pieno rispetto della reciproca autonomia, ma che tuttavia riconoscono nella capacità vertenziale di questi soggetti sociali un patrimonio fondamentale della Sinistra di Alternativa e perfino una istanza fondamentale di radicalità e di distinzione rispetto alle politiche insoddisfacenti e moderate che il Pd e spesso il quadro politico del Centro-Sinistra locale esprime.

In particolare, il Congresso territoriale della Federazione della Sinistra si impegna a sostenere pienamente la lotta del Coordinamento contro l’Inceneritore di Albano e le forme di lotta improntate all’autorganizzazione che da anni si stanno sviluppando contro questo “ecomostro”. Cosi come riconosce il valore della mobilitazione dei locali comitati per l’acqua pubblica che hanno saputo raccogliere centinaia di firme a favore del referendum.

E’ evidente infatti che se la Federazione della Sinistra ha un futuro, questo non può che essere costruito a partire dal basso; dai conflitti e dai bisogni che esprimono le classi popolari dei nostri territori.




1° congresso FdS, Ardea e Pomezia.


Si è svolto Sabato 13 novembre il 1° congresso della federazione della sinistra territoriale Ardea e Pomezia.
Alla presenza degli iscritti e ai cittadini, l'assemblea ha aperto i lavori dopo il saluto di rito portato dai rappresentanti politici del centro sinistra locale F. Loreto portavoce PSI Ardea, e A. De Marco segr, di federazione castelli PSI,G.Riccobono Sel Ardea, A. Manieri SeL torvaianica, M. Lotierzo PD, P. Serrecchia pres PD Ardea, i quali dopo aver sottolineato il percorso di intenti per una sinistra finalmente unita ad Ardea hanno augurato buon lavoro.
La testimonianza dei rappresentanti dei lavoratori Herla, e telecom di Pomezia, hanno arricchito la riunione, con il ringraziamento
per il sostegno alla lotta per il diritto al lavoro, i militanti del circolo di Pomezia.
Il congresso si è svolto in un clima di proficuo dibattito, concludendosi con il voto unanime per il documento politico, pur avendo visto momenti di animata discussione tra i partecipanti.Il documento sarà discusso in via definitova al congresso nazionale della FdS che si terrà a Roma il 19-20 novembre presso hotel Ergife.
L'obiettivo della federazione della sinistra è essenzialmente quello di creare una aggregazione di partiti, associazioni, liberi cittadini,I quali possono essere tesserati per la FdS, per dare vita a un progetto di alternativa a sinistra, anticapiltalista, mantenendo il dialogo per un opportuno fronte democratico con altre forze per abbattere il governo Berlusconi.
Il circolo PRC Ardea, ringrazia i partecipanti, che hanno reso possibile l'iniziativa, collaborando alla presentazione nei territori una idea ambiziosa federativa.Ci auguriamo che questo possa col tempo rappresentare un punto di riferimento politico ma soprattutto culturale.

PRC circolo Ardea

DOCUMENTO POLITICO PER IL CONGRESSO DELLA Federazione della Sinistra

Approvato dal Consiglio Politico Nazionale
Il 28 luglio 2010
DOCUMENTO POLITICO
PER IL CONGRESSO DELLA
Federazione della Sinistra


INDICE


I.

1. IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO
2. LE CAUSE DELLA CRISI E LA NECESSITA’ DEL SUPERAMENTO CAPITALISTICO
3. CHI SIAMO E PERCHE’ CI UNIAMO
4. LA FEDERAZIONE E I SOGGETTI CHE VI PARTECIPANO

II.

5. DIFENDERE E ATTUARE LA COSTITUZIONE, RINNOVARE LA DEMOCRAZIA ITALIANA
6. CENTRALITA’ DEL LAVORO
7. LA QUESTIONE DI GENERE
8. BENI COMUNI, AMBIENTE, SOVRANITA’ ALIMENTARE
9. IL DIRITTO AL SAPERE. LA CULTURA PATRIMONIO UNIVERSALE
10. DIRITTI CIVILI E LAICITA’ DELLO STATO
11. PER LA PACE, PER IL DISARMO
12. UNA COSTITUENTE PER L’EUROPA DEMOCRATICA

III.

13. IL CASO ITALIANO: UNA DESTRA EVERSIVA
14. IL CASO ITALIANO: LA CRISI DELLA SINISTRA
15. AUTONOMIA DELLA SINISTRA E UNITA’ DEMOCRATICA

IV.
16. LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA E I GIOVANI: PER UNA SINISTRA CON LO SGUARDO RIVOLTO AL FUTURO

I

1 ) IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO

Il capitalismo non è in grado di garantire lo sviluppo sociale e civile e l’equilibrio ambientale del pianeta.
All’inizio degli anni ’90 era stata teorizzata “la fine della storia” e l’inizio di un’era nella quale l’economia di mercato e la democrazia politica si sarebbero diffuse su tutto il pianeta, assicurando in modo crescente benessere e libertà. Ma la globalizzazione neoliberista non ha mantenuto le sue promesse. Essa ha determinato al contrario l’aumento della povertà e delle diseguaglianze sociali, su scala planetaria e all’interno dello stesso Occidente; il saccheggio e la privatizzazione dell’ambiente e dei beni comuni, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta; la crisi alimentare, che condanna alla fame oltre un miliardo di esseri umani.
E nell’ultimo triennio la globalizzazione neoliberista ha trascinato l’intero pianeta in una crisi senza precedenti.
La crisi non ha cause episodiche, e tanto meno è conseguenza dell’”ordine naturale” delle cose, come la risorgente ideologia neoliberista vorrebbe far credere. Essa è conseguenza del modello di capitalismo senza limiti e senza regole che ha dominato negli ultimi decenni, del quale la cosiddetta speculazione finanziaria non è un’escrescenza, ma una componente strutturale.
Compito della sinistra, quindi, non è assumere o stemperare il modello economico e sociale del capitalismo, come tentato senza successo negli ultimi decenni dalla sinistra moderata dell’Occidente.
Compito della sinistra è indicare un’alternativa economica e sociale al capitalismo. Un’alternativa per la liberazione del lavoro, l’effettiva autonomia delle donne, il riequilibrio ambientale, il sapere come fondamentale diritto democratico, la liberazione e la libertà di tutti e di ciascuno, il governo democratico dei processi economici e sociali. Uscire da sinistra dalla crisi vuol dire prospettare un’alternativa di sistema: “Il socialismo del XXI secolo”, come dicono i popoli latino-americani. Altrimenti la crisi determinerà un ulteriore aggravamento della devastazione prodotta dall’egemonia del capitalismo neoliberista, che ha aumentato la diseguaglianza di reddito e di potere, ha ridotto i diritti, a cominciare da quelli delle lavoratrici e dei lavoratori, ha reso precaria la vita di un numero sempre crescente di donne e di uomini, e soprattutto dei giovani, ha favorito la repressione della libertà delle donne, ha intaccato la sostanza stessa della democrazia a favore del potere di ristrette oligarchie.
E questo modello lo si è voluto imporre con ogni mezzo, compresa la guerra, come dimostrano le vicende del Medio Oriente, dell’Afghanistan e della crescente tensione in America Latina.
Ci sentiamo parte delle forze, sempre crescenti, che in Europa e nel mondo si battono per costruire un’alternativa di sistema, a partire dal conflitto tra chi controlla la proprietà dei beni economici e chi non ha questo potere, dalla contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro, dalla contraddizione tra i sessi.
Per questo l’alternativa si fonda anzitutto sulla centralità del lavoro: per un sistema economico, una società, un’etica pubblica fondata sul valore sociale del lavoro, sulla dignità e sui diritti di tutte e di tutti.
Alternativa di sistema vuol dire un’economia sostenibile, sovranità alimentare, l’ambiente e le risorse naturali (l’acqua, l’aria, il paesaggio) come beni comuni sottratti al mercato, uno sviluppo durevole alternativo alla crescita orientata sul profitto.
La valorizzazione piena del pensiero e della pratica femministe, contro ogni forma di patriarcato e per rendere effettiva la autodeterminazione delle donne.
I diritti sociali e civili come universali diritti di cittadinanza.
La tutela dei migranti, sottoposti a inaudite sopraffazioni, e l’impegno contro il razzismo, la xenofobia e ogni forma di neofascismo.
Politiche per la piena e buona occupazione che riunifichino, intorno al diritto al lavoro, lavoratrici e lavoratori dipendenti, precari, disoccupati.
Politiche pubbliche per orientare l’economia a fini sociali e per redistribuire le risorse a vantaggio del lavoro e dei ceti popolari.
Il diritto all’istruzione, al sapere, alla conoscenza, garantito dalla scuola e dall’università pubbliche e gratuite.
Indichiamo quindi la prospettiva di un lungo e profondo processo di cambiamento, nel quale il dominio del capitale e del patriarcato venga superato attraverso il conflitto democratico, sociale e ideale, e sia sostituito da un altro sistema economico e sociale: il Socialismo del XXI secolo, una società fondata sul principio di eguaglianza che apra la prospettiva di “una comunità nella quale la libertà di ciascuno è la condizione per la libertà di tutti”.
2) LE CAUSE DELLA CRISI E LA NECESSITA’ DEL SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO

2.1 La crisi economica mondiale costituisce un drammatico passaggio di fase, paragonabile a quello che si aprì nel 1929. La crisi non ha carattere episodico o ciclico, ma è la conseguenza di un sistema dominato dalla logica liberista e dal capitalismo finanziario, che ha determinato l’allargamento del divario mondiale tra la produttività del lavoro e la capacità di consumo dei lavoratori, portando l’indebitamento privato e pubblico a livelli divenuti insostenibili.
Nella fase iniziale della crisi i governi avevano affermato l’esigenza di regolare il mercato, ma l’unico intervento pubblico operato in Occidente è stato l’uso del denaro pubblico per salvare banche, imprese e speculatori. Superata questa fase, senza che sia stata introdotta alcuna regolazione nei mercati finanziari internazionali e senza che i responsabili abbiano avuto alcuna forma di sanzione, viene riproposto lo stesso modello che ha determinato la crisi. Anzi, il modello è aggravato da manovre dei governi nazionali e da proposte di nuovi interventi a livello europeo, voluti da chi vede nella crisi l’occasione per accelerare i processi di smantellamento dello stato sociale e di frammentazione del lavoro. Si colpiscono in tal modo i diritti e i redditi delle lavoratrici e dei lavoratori e i livelli occupazionali, già pesantemente penalizzati negli anni precedenti. I vertici internazionali come il G8 e il G20, nati in alternativa e contro l’ONU e le sue agenzie, non decidono nulla: e così in realtà decidono che il modello finora seguito è valido e da mantenere.
Tornano a governare i mercati, le grandi banche e i fondi speculativi ricominciano a realizzare enormi profitti, mentre le istituzioni maggiormente responsabili del disastro neoliberista (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio, OCSE e Banca Centrale Europea) sono all’opera per addossare ai ceti popolari il costo degli interventi adottati per salvare banche e imprese.
Particolarmente significativo è l’attacco alla spesa pubblica: in realtà si intende la spesa sociale. L’esplosione del debito pubblico non dipende affatto dalla spesa sociale. Molti paesi europei prima della crisi avevano bilanci in ordine e bassi debiti pubblici. Gli squilibri derivano dall’ingentissima mobilitazione di risorse necessarie per salvare le banche e dal crollo della domanda interna causata dalla riduzione dell’occupazione e del reddito.
Gli aiuti previsti per gli stati sono subordinati alle tristemente note ricette del Fondo Monetario Internazionale, mentre si prefigura una inquietante revisione del patto di stabilità europeo, per imporre politiche di bilancio ancora più restrittive, decise fuori dalle sedi democratiche dei parlamenti nazionali e con la previsione di pesanti sanzioni.
L’obiettivo è dichiarato: colpire al cuore il modello sociale europeo, nella parte sopravvissuta agli attacchi del liberismo. Disoccupazione, precarizzazione, compressione dei diritti e dei redditi delle lavoratrici e dei lavoratori, riduzione delle prestazioni sociali: questa è la ricetta. Ciò che si vorrebbe imporre ai lavoratori di Pomigliano è emblematico di un orientamento complessivo.
Il progetto così portato avanti non tiene neppure conto degli allarmi lanciati da più parti sul rischio degli effetti recessivi di questi interventi.

2.2 In Italia la manovra del governo peggiora una situazione già pesante. Lo sconsiderato ottimismo del governo Berlusconi, che aveva negato la crisi italiana lasciando che si aggravasse senza fare nulla, è smentito dai dati. Secondo l’Istat, “considerando il biennio 2008-2009 la caduta del livello del reddito ha raggiunto il 6,3%, il risultato peggiore tra quello delle grandi economie avanzate”. Gli occupati sono diminuiti di oltre 500.000, e oltre un milione e mezzo di lavoratori sono in cassa integrazione.
Si aggravano le ingiustizie sociali. Il sistema fiscale è ispirato al principio opposto a quello della progressività previsto dalla Costituzione. L’80% del gettito fiscale complessivo viene dal lavoro dipendente e dai pensionati. Solo lo 0,8% dei contribuenti dichiara più di 100.000 euro l’anno. Il 51% delle società di capitali ha dichiarato una imposta sul reddito negativa o nulla. Secondo i dati della Banca d’Italia le imposte evase superano i 125 miliardi. Basterebbe un quarto di questa cifra perché il rapporto fra debito e PIL divenisse tra i più bassi dell’Unione Europea.
Le sperequazioni sociali sono enormi e crescenti. Il 10% delle famiglie detiene la metà della ricchezza finanziaria e immobiliare. Il Presidente del Consiglio ha guadagnato nel 2009 più di due volte il monte salari dell’intero stabilimento di Pomigliano. L’Amministratore Delegato della Fiat Sergio Marchionne ha percepito un compenso di 4 milioni e 782 mila euro, pari a 435 volte il reddito medio di un suo dipendente. Analoghe retribuzioni sono percepite dagli amministratori delle banche e delle grandi imprese. La Fiat ha distribuito nel 2009 oltre 200 milioni di euro di dividendi alla famiglia Agnelli e agli altri proprietari. L’indice della diseguaglianza sociale in Italia è il più alto dell’Europa continentale (pari a 35, contro 28 della Francia e 23 della Svezia).
In questa situazione la manovra del governo colpisce, secondo un’aberrante logica classista, chi già sta peggio: si riducono le retribuzioni dei dipendenti pubblici, si aumenta l’età pensionabile, in modo particolarmente pesante per le donne, e attraverso i tagli alle regioni e agli enti locali si pongono le premesse per pesanti riduzioni delle prestazioni sociali e dei servizi pubblici, oppure per un aumento dell’imposizione fiscale a carico delle famiglie.
Nessuna misura è stata presa per tassare la speculazione finanziaria, e per chiedere un contributo ai più ricchi in termini di reddito e di patrimonio.
Berlusconi, Marchionne, i proprietari della Fiat, e tutti coloro che si trovano nella stessa condizione non metteranno nemmeno un centesimo di “sacrificio”. Si è calcolato ad esempio che basterebbe un’addizionale del 10% sui redditi superiori ai 200.000 euro per avere un gettito di oltre un miliardo annuo. E con altre misure di questo genere si potrebbe coprire almeno la metà del costo della manovra.
Nel quadro degli interventi previsti dai governi europei, quello del governo Berlusconi è il più classista e il più ingiusto, perché è l’unico che non prevede alcun sollievo alle fasce basse di reddito e non richiede alcun contributo ai ceti più abbienti.

2.3 Quanto sta accadendo in Europa e in Italia conferma che senza profondi cambiamenti sociali il capitalismo prosegue nella sua strada distruttiva. A una crisi sistemica i governi e le oligarchie economiche e finanziarie danno una risposta che accentua gli aspetti socialmente, economicamente e culturalmente regressivi del modello economico dominante. Uscire dalla crisi a sinistra è possibile solo mettendo in discussione questo modello. Si conferma così che per la sinistra l’obiettivo non può essere quello di gestire il sistema economico esistente, ma di porre l’esigenza di una alternativa di sistema al capitalismo in quanto tale.

3) CHI SIAMO E PERCHE’ CI UNIAMO

Chi condivide questa analisi e questi obiettivi ha il dovere di unirsi e battersi per un’alternativa di società. Solo con l’unità è possibile reagire al concreto rischio della scomparsa in Italia di una Sinistra degna di questo nome. Per questo Prc, Pdci, Socialismo 2000 e Lavoro-Solidarietà hanno deciso dar vita a un nuovo soggetto politico, la Federazione della Sinistra, e di invitare a partecipare altri soggetti politici, movimenti, associazioni, cittadine e cittadini che condividono l’impianto di questo progetto.
Indichiamo come nostri riferimenti ideali e storici i momenti più alti della storia del movimento operaio italiano, comunista e socialista, l’antifascismo, i movimenti pacifista, ambientalista, altermondialista, femminista e dei diritti civili.
Ci uniamo per cominciare ad invertire la tendenza alla divisione e alla frammentazione che tanto danno hanno arrecato alla sinistra, alle lavoratrici e ai lavoratori, all’Italia; per dare senso e credibilità alla prospettiva del cambiamento.
La Federazione della Sinistra si propone di costruire, nel tempo e con tenacia, la più ampia unità di tutte le forze politiche, delle organizzazioni sociali e culturali, locali e nazionali, e di tutte le persone che si riconoscono nella critica dell’attuale sistema economico e sociale e nell’obiettivo del superamento del capitalismo e del patriarcato.
L’unità è necessaria per dare credibilità alla costruzione del Socialismo del XXI secolo.
L’unità è indispensabile per mantenere in vita, rinnovandola e rilanciandola, una forza autonoma e indipendente dal centro-sinistra, dotata di un programma per l’uscita a sinistra dalla crisi capitalistica.
L’unità è utile perché identità, culture politiche e pratiche sociali diverse convivano e, riconoscendosi reciprocamente, concorrano alla costruzione di un programma comune e ad assicurare la rappresentanza nelle istituzioni del mondo del lavoro, delle lotte sociali, del progetto di alternativa di società.
L’unità è solida se è capace, nei fatti, di non ripetere i seri errori politici e la tendenza alle scissioni che hanno provocato la più grave crisi della sinistra nella storia italiana.
All’unità non c’è alternativa. Le diverse organizzazioni della sinistra si troverebbero altrimenti a competere fra loro, in una lotta fratricida dalla quale niente di utile può venire alle classi popolari e ai movimenti di lotta.
E’ invece possibile e necessario unirsi sulla base di una comune ispirazione ideale e di una condivisa prospettiva di cambiamento, e sulla base di un programma di lotte e proposte per il paese, capaci di dar vita a un polo sociale, politico e culturale di opposizione al neoliberismo capitalistico e di aggregare le forze necessarie per l’alternativa di società.
Per queste ragioni, dopo la lista comune alle elezioni europee, le assemblee del 18 luglio e del 5 dicembre dello scorso anno, avviamo il Congresso fondativo della Federazione della Sinistra.


4) LA FEDERAZIONE E I SOGGETTI CHE VI PARTECIPANO

La Federazione è un nuovo soggetto politico, unitario e plurale. Non un partito unico, ma nemmeno un cartello elettorale o una sommatoria di due partiti comunisti. E’ un progetto ambizioso e originale che punta a valorizzare e a trasformare in iniziativa politica, conflitto sociale, prassi quotidiana, il patrimonio comune alle differenti soggettività, superando i limiti già verificati della dinamica “scioglimento dei partiti esistenti- costituzione di nuovi partiti”.
E’ un soggetto politico e sociale che vive e trae alimento dalle risorse ideali e umane delle diverse soggettività politiche che costituiscono la Federazione, senza presupporre ne’ implicare lo scioglimento dei partiti esistenti e delle associazioni che decidono di farne parte, e che si propone di costruire una nuova forma della politica, connettendo sociale e politico.
Particolare rilievo assume per la Federazione il radicamento nel mondo del lavoro e la capacità di rappresentarne gli interessi. Per questo è compito politico-organizzativo prioritario la costruzione di circoli della Federazione nei luoghi di lavoro.
Il primo congresso della Federazione è per noi l’inizio di un processo che ha l’ambizione di costruire un polo politico e sociale della sinistra di alternativa dotato della forza e del consenso necessari per affrontare i grandi compiti che sono davanti a noi, per pesare e incidere nella realtà italiana.
In molti paesi europei la sinistra di alternativa ha saputo acquisire un consenso e un ruolo politico e sociale di grande rilievo. Un intero continente, l’America Latina, ha espresso una straordinaria volontà e capacità di cambiamento.
E’ possibile quindi costruire le condizioni del cambiamento.
A tal fine sono indispensabili, insieme, chiarezza negli obiettivi e volontà unitaria.
Per questo la Federazione della Sinistra sarà sempre aperta. Invitiamo tutti i soggetti politici e sociali, tutte le persone che ne condividono l’ispirazione a farne parte, contribuendo a costruire e ad arricchire il programma e l’iniziativa politica, sociale e culturale.
La Federazione della Sinistra decide di presentarsi unitariamente, come soggetto politico, con il proprio simbolo, alle elezioni a tutti i livelli, sulla base della ispirazione e del programma condivisi, e di assumere democraticamente, e in modo vincolante per tutte e per tutti, le decisioni relative alla partecipazione elettorale e le regole per la vita delle proprie rappresentanze istituzionali.
II
5) DIFENDERE E ATTUARE LA COSTITUZIONE, RINNOVARE LA DEMOCRAZIA ITALIANA

5.1 Il degrado della democrazia non è un fenomeno solo italiano; è un processo in atto in tutto l’Occidente, è il portato del capitalismo neoliberista e della globalizzazione senza regole, che non siano quelle del mercato. Il progressivo smantellamento della sovranità nazionale degli Stati fa sì che le decisioni che influiscono sulla vita collettiva siano sottratte alle istituzioni democratiche. Decidono le oligarchie economico-finanziarie, in stretta simbiosi con le oligarchie politiche, che anche attraverso il controllo dei mass media riducono la democrazia a delega passiva.
Questa “post democrazia”, che porta a “governi e legittimazione popolare passiva”, trova in Italia la sua versione più regressiva. La degenerazione oligarchica della democrazia si esprime, nel berlusconismo, attraverso l’ideologia del premier “eletto dal popolo”, che vede nelle istituzioni democratiche l’ostacolo alle decisioni o il nemico da combattere, si tratti del Parlamento o del Capo dello Stato, della Corte Costituzionale o della magistratura.
Nella legislatura in corso si è realizzato un salto di qualità, un attacco più grave e pericoloso, perché rivolto contro i principi della Costituzione, i suoi valori, i diritti democratici e sociali garantiti nella Prima parte.
Si vuole colpire il fondamento stesso della Prima parte della Carta: l’equilibrio tra libertà di impresa, utilità sociale e diritti dei lavoratori.
Lo stravolgimento dell’articolo 41, l’attacco al diritto di sciopero, la violazione del principio di progressività dell’imposizione fiscale, l’arbitro invece del giudice per decidere dei rapporti di lavoro, le ricorrenti aggressioni all’articolo 18 dello Statuto fanno parte dello stesso progetto: si vuole una Costituzione disegnata a misura del mercato e del profitto, non del lavoro, dei diritti della persona, dell’eguaglianza.
E’ necessaria quindi la più ampia unità democratica per contrastare questa offensiva, per difendere la più grande conquista del popolo italiano, la Costituzione del 1948. Una Costituzione difesa dal popolo italiano con la vittoria nel referendum del 24 e 25 giugno del 2006, quando fu abrogato il testo che era stato votato dal centro-destra.
Dell’attacco ai fondamenti stessi della nostra Costituzione fa parte la deriva federalista, che, attraverso continui cedimenti alla impostazione sostanzialmente secessionista della Lega, mette in discussione l’unità nazionale, la solidarietà territoriale, l’eguaglianza e l’universalità dei diritti.
L’attacco convergente all’unità nazionale e alla Resistenza, il momento più alto della storia italiana, rappresenta la becera espressione ideologica dell’aggressione ai principi fondativi dell’Italia democratica.
Non si può non sottolineare che nel determinare questa situazione vi sono responsabilità non secondarie della sinistra moderata, che ha assecondato lo svuotamento progressivo della democrazia. Il presidenzialismo di fatto a tutti i livelli di governo, la valorizzazione di un rapporto di tipo plebiscitario tra leader e popolo, lo svuotamento della partecipazione democratica e del ruolo delle assemblee elettive, i continui cedimenti al federalismo di impronta leghista, l’ideologia e la pratica del bipolarismo hanno colpito, pur senza modificare le norme scritte (tranne la pessima riforma del Titolo V), gli equilibri istituzionali sapientemente delineati nella nostra Carta fondamentale. Il berlusconismo ha così potuto cogliere dall’albero il frutto maturo.
Il bipolarismo forzato, prodotto dalle leggi elettorali maggioritarie, si è rivelato lo strumento delle oligarchie per ostacolare la partecipazione democratica ed escludere dalla vita istituzionale ogni prospettiva di reale cambiamento.
La battaglia culturale e politica contro il bipolarismo e per nuove regole elettorali basate sul principio proporzionalistico è una battaglia in nome dei milioni di cittadini oggi senza rappresentanza, e degli altri milioni che in numero crescente si rifiutano di partecipare alla vita politica e alle stesse elezioni, nell’amara convinzione che chiunque vinca poco cambierà.

5.2 Ci battiamo quindi:
Ø per una democrazia profondamente rinnovata, anzitutto con la difesa intransigente della nostra Costituzione, della quale chiediamo anzi l’attuazione piena, perché siano mantenute le promesse contenute nei suoi Principi fondamentali: l’eguaglianza sostanziale, la centralità del lavoro, la libertà della persona, la necessità di rimuovere gli ostacoli che limitano l’effettività dei diritti per tutte e per tutti.
Ø Contro il federalismo, per le prerogative dello Stato nazionale e a favore di una Repubblica delle autonomie: regioni e comuni per unire il paese, non per dividerlo.
Ø Per ridare centralità alle assemblee elettive, attribuendo loro i poteri decisionali più importanti, che sono stati trasferiti agli esecutivi e ai “capi” dei medesimi.
Ø Per leggi elettorali di impianto proporzionale a tutti i livelli, per ridare senso al confronto politico e ideale tra progetti diversi, e per assicurare la rappresentanza al pluralismo presente tra gli italiani, che è un valore democratico per tutti, non solo per la sinistra.
Ø Per rendere effettiva la libertà di informare e di essere informati, con una legge sul conflitto di interessi, contro l’oligopolio televisivo e per la libertà dei giornalisti nei confronti dei proprietari dei mass media.
Ø Per la riforma dei partiti, che dia sostanza al diritto delle cittadine e dei cittadini di associarsi liberamente per concorrere con metodo democratico alla vita politica, previsto dalla Costituzione.
Ø Per le più ampie forme di partecipazione democratica, garantendo ai soggetti sociali la presenza nei processi decisionali pubblici e riducendo gli ostacoli al ricorso al referendum e alle leggi di iniziativa popolare.

6) CENTRALITA’ DEL LAVORO

6.1 Porre alla base della nostra proposta la centralità del lavoro vuol dire schierarsi dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori nel conflitto con la proprietà; assumere il tema della rappresentanza politica delle lavoratrici e dei lavoratori e impegnarsi quindi per radicare la federazione nei luoghi di lavoro; indicare politiche per la piena e buona occupazione e per la ricomposizione del mondo del lavoro, contro la frammentazione perseguita negli ultimi anni per dividerlo e indebolirlo:
Ø Politiche di intervento pubblico nell’economia, sulla base di un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale, e che preveda la produzione pubblica di beni collettivi, dalla ricerca, alla salvaguardia dell’ambiente, alla pianificazione del territorio da sottrarre alla speculazione, alla mobilità sostenibile, alla cura delle persone;
Ø Politiche fiscali che si basino sul principio della progressività dell’imposizione, e che spostino i carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, ridistribuendo la ricchezza a favore delle famiglie e dei ceti popolari;
Ø Una legislazione del lavoro che contrasti la precarietà, sulla base del criterio per il quale il rapporto a tempo pieno e indeterminato è la forma ordinaria del rapporto di lavoro, e per questo abroghi le leggi che hanno consentito la precarizzazione del lavoro;
Ø Politiche specifiche per l’occupazione femminile, che in Italia è la più bassa d’Europa;
Ø Difendere i posti di lavoro, con una legge che preveda il blocco temporaneo dei licenziamenti;
Ø Prevedere per legge un salario minimo per le lavoratrici e i lavoratori per i quali non vige il contratto nazionale, rapportato a quanto previsto dai contratti nazionali e tale da garantire un trattamento economico che assicuri un’esistenza dignitosa e che contrasti il fenomeno del “lavoro povero”;
Ø Il reddito minimo garantito per disoccupati, intermittenti, inoccupati;
Ø L’attribuzione ai migranti dei medesimi diritti e condizioni di lavoro dei cittadini italiani, l’impegno contro il caporalato e lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori extracomunitari;
Ø Il diritto a una pensione decorosa, integrando con la fiscalità generale l’eventuale deficit derivante dal sistema contributivo e prevedendo l’aumento delle pensioni in essere attraverso meccanismi perequativi che garantiscano a tutti gli anziani un reddito sufficiente;
Ø Il contrasto durissimo agli infortuni sul lavoro, prevedendo misure più incisive, controlli penetranti ed effettive sanzioni penali per i datori che non le rispettano;
Ø Una legge che garantisca la democrazia nei luoghi di lavoro e nella definizione delle rappresentanze sindacali, secondo la proposta di iniziativa popolare della Fiom;
Ø Un polo pubblico del credito, attraverso la proprietà o il controllo delle banche di rilievo strategico, per garantire che il risparmio delle famiglie sia tutelato e utilizzato per investimenti produttivi pubblici e privati, non per speculazioni finanziarie che arricchiscono enormemente poche persone e danneggiano la grande maggioranza dei risparmiatori e dei cittadini.

6.2 In questo quadro la Federazione considera la questione meridionale una grande questione nazionale. Non è tollerabile che una larga parte del Paese sia abbandonata al degrado sociale, al prepotere della criminalità organizzata, a pratiche politiche affaristiche e clientelari. Affrontare in modo determinato e innovativo la questione meridionale significa affermare i principi dell’unità nazionale, della democrazia, dell’intervento pubblico nell’economia e invertire quindi le tendenze involutive dell’ultima fase.
A tal fine occorre far leva sia sulle risorse umane, culturali e ambientali del Sud, sia su politiche perequative nazionali, prevedendo in particolare che il polo pubblico del credito, da noi proposto, assuma come compito istituzionale l’investimento nel Mezzogiorno. Condizione indispensabile per il riscatto del Sud è il rinnovamento della pratica politica e il ricambio dei gruppi dirigenti.

7) LA QUESTIONE DI GENERE

Il rapporto di potere sociale, economico e simbolico tra i sessi, a quarant’anni dalla rivoluzione femminista, permane fortemente squilibrato. Per restare solo in ambito europeo, l’Italia è il Paese in cui la questione femminile si pone con maggiore emergenza.
La restaurazione capitalista ha alimentato forme antiche e nuove di patriarcato, per legittimare un assetto sociale strumento della discriminazione di genere.
Le donne sono oggetto di violenza maschile, in famiglia e nella società. Una cultura della sopraffazione che viene confermata persino dalle sentenze dei tribunali e della Cassazione, dove violenza sessuale e violenza casalinga contro le donne spesso non vengono riconosciute al pari di ogni altra violenza alla persona.
Viene ostacolato, quando non negato, il diritto fondamentale delle donne alla libera scelta sul proprio corpo: aborto, contraccezione, RU486, maternità consapevole, accesso alle tecniche di procreazione assistita, non sono riconosciuti come diritto della persona. Lo Stato, anche attraverso l’ospedalizzazione forzosa, interviene direttamente nelle scelte e nelle decisioni delle donne.
Lo sfruttamento del corpo delle donne attraversa i settori economici, politici e familiari.
L’organizzazione del lavoro e la riduzione dello Stato sociale colpiscono direttamente la libertà delle donne. La disoccupazione e l’inoccupazione femminile, la diffusione del lavoro precario (maggiore che per gli uomini), le differenze di stipendio e remunerazione (mediamente inferiori del 23% a quelle degli uomini), le vessazioni sul lavoro, sono a livello preoccupante per una società del XXI secolo. La carenza di un welfare sociale adeguato si scarica sulle famiglie e da queste sulle donne, per il persistere della visione tradizionale che tende a schiacciare la soggettività delle donne nell’istituto familiare.
E’ impegno della Federazione battersi contro ogni forma di patriarcato e perché ogni donna decida liberamente del proprio corpo e abbia riconosciuti i pieni diritti di eguaglianza, in famiglia, nella società e sul lavoro, sanciti dalla Costituzione.
La Federazione della Sinistra assume il principio della rappresentanza paritaria di donne e di uomini.


8) BENI COMUNI, AMBIENTE, SOVRANITA’ ALIMENTARE

La crisi ambientale, che mette a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta, è la conseguenza, come la crisi economica, delle contraddizioni strutturali del capitalismo, che in nome del profitto assoggetta la natura ad uno sfruttamento indiscriminato.
Solo l’intervento pubblico in economia può creare le condizioni per la riconversione ecologica del sistema produttivo e assicurare al pianeta la tutela delle condizioni di vita, oggi messa a repentaglio dallo sfruttamento privatistico e indiscriminato delle risorse naturali (come dimostra il disastro ecologico provocato dalla BP). Il nuovo modello di produzione e consumo deve basarsi sul principio di limite in una società sostenibile e sull’idea che le risorse naturali costituiscono un bene comune, non merci sottoposte all’appropriazione privata finalizzata al profitto.
Siamo quindi per il NO al nucleare, per seri investimenti nelle energie rinnovabili, per il rispetto delle regole europee sulla riduzione delle emissioni, e sosteniamo la proposta di legge di iniziativa popolare per le energie rinnovabili e la difesa del clima.
La crisi alimentare condanna alla morte per fame e per sete milioni e milioni di essere umani, a causa delle politiche neo-liberiste che hanno accresciuto nel mondo povertà e squilibri territoriali, hanno concentrato nei Paesi più ricchi i luoghi di trasformazione e commercializzazione delle risorse agricole, hanno organizzato attraverso le multinazionali lo sfruttamento delle terre dei Paesi poveri, negando così il diritto fondamentale al cibo per tutti.
Costituiscono per queste ragioni terreno fondamentale di analisi, di proposta e di lotta le questioni della sovranità alimentare e della crisi alimentare e, nel nostro Paese, della difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori italiani e migranti in agricoltura, della tutela dei contadini e dei piccoli produttori agricoli, della valorizzazione dell’agricoltura biologica e dei prodotti tipici, del rifiuto degli OGM, della salvaguardia della bio-diversità, dei terreni agricoli e del paesaggio rurale.
Per noi è centrale l’idea che le risorse naturali sono beni comuni. Quasi vent’anni di privatizzazioni in Italia hanno comportato il declino degli investimenti, l’aumento dei prezzi al consumo e benefici solo per i nuovi proprietari, con profitti e retribuzioni dei manager che hanno raggiunto livelli elevatissimi. E’ ora di invertire la rotta.
Il movimento referendario contro la privatizzazione dell’acqua, da noi sostenuto, esprime una nuova soggettività, che vede nell’acqua il simbolo forte di un legame stretto e imprescindibile fra risorse e comunità.
L’impegno per i beni comuni esprime la tensione verso un modello di società e di economia che va oltre la lotta al mercatismo e la stessa tradizionale logica della statizzazione, per indicare l’obiettivo del controllo sociale e comunitario sui beni comuni, il cui corretto uso è decisivo per garantire sia più giuste relazioni sociali, sia un equilibrato rapporto fra esseri umani e natura. Si indica così la strada di un governo partecipato di questi beni, capace di coinvolgere in modo diretto e con strumenti nuovi le comunità interessate. Sosteniamo la piena attuazione dell’art. 43 della Costituzione, che prevede la possibilità di sottrarre al regime privatistico le attività che riguardano servizi pubblici essenziali, fonti di energia e situazioni di monopolio, attribuendole a comunità di utenti e di lavoratori.
Il territorio è stato sottoposto alla più selvaggia speculazione, spesso con l’avallo dei poteri pubblici. Ciò ha determinato cementificazione, creazione di quartieri ghetto, rottura dei legami sociali, devastazione culturale, a vantaggio di pochi imprenditori privati e senza assicurare l’abitazione a chi non dispone di un reddito adeguato. Diritto alla casa ed equilibrio urbanistico vanno garantiti attraverso forme nuove di compartecipazione sociale alle decisioni pubbliche, sulla base del principio che le aree urbane costituiscono un bene comune.


9) IL DIRITTO AL SAPERE. LA CULTURA PATRIMONIO UNIVERSALE

9.1 Il sapere, la conoscenza, l’istruzione sono un fondamentale diritto democratico. La cultura è un patrimonio universale, prodotto nel corso della storia dell’umanità. La ricerca scientifica non può essere subordinata alla logica del capitale.
Per questo va contrastata con determinazione la tendenza alla privatizzazione del sapere.
Come dice la Costituzione, spetta allo Stato garantire il diritto all’istruzione. L’effettività di questo diritto non sussiste quando, come oggi in Italia, il figlio di un laureato ha la possibilità di conseguire la laurea dieci volte in più rispetto al figlio di chi ha frequentato solo la scuola dell’obbligo. Si perpetuano nelle generazioni diseguaglianze sociali profondamente ingiuste. Tutte le bambine e i bambini, tutti i giovani devono avere pari opportunità nell’accesso alla conoscenza. E ciò non solo per garantire eguali possibilità di accesso ai lavori, ma anche per assicurare a ciascuna e a ciascuno strumenti conoscitivi e di giudizio critico e conoscitivo sulla società in cui vive. Come dice uno slogan del movimento degli studenti, “un popolo di ignoranti è un popolo manipolabile”.
Il pesante attacco alla scuola pubblica, all’università pubblica e alla cultura in atto da parte del governo Berlusconi si fonda su una logica classista che va denunciata ad alta voce. L’obiettivo è di realizzare due canali formativi: una scuola pubblica dequalificata con insegnanti malpagati e demotivati, per i ceti popolari; una scuola privata per ricchi e benestanti, che perpetui le gerarchie sociali esistenti.
Si è ridotto del 25% il bilancio della scuola, si sono colpite le retribuzioni degli insegnanti e del personale non docente, si tagliano 45.000 posti di lavoro trasformando i precari in disoccupati.
Si riducono l’orario scolastico, il tempo pieno nella scuola dell’obbligo, la durata dell’istruzione obbligatoria, si è reintrodotta una canalizzazione precoce al lavoro e si propone l’abbassamento dell’età di ingresso al lavoro a 15 anni.
Rimangono invece intatti i finanziamenti statali alla scuola privata, e altri se ne aggiungono attraverso le regioni, le province, i comuni.

Proponiamo una radicale inversione di tendenza per garantire a tutti, come vuole la Costituzione, l’eguale diritto all’istruzione. Una scuola pubblica, democratica e pluralista. A tal fine occorre:
Ø destinare all’istruzione risorse almeno pari alla media europea, e riservarle alla scuola pubblica, come prevede la Costituzione;
Ø prevedere l’obbligo scolastico fino a 18 anni, garantendo la gratuità della scuola, compresi i libri di testo, con l’obiettivo di portare tutti i giovani al diploma superiore;
Ø valorizzare il ruolo e la professionalità degli insegnanti, con retribuzioni di livello europeo, un piano di formazione e la stabilizzazione del lavoro di tutti i docenti;
Ø garantire il tempo pieno nell’insegnamento elementare;
Ø estendere la scuola dell’infanzia in tutto il Paese, ed in particolare nel Mezzogiorno, dove oggi è quasi inesistente;
Ø assicurare l’insegnamento per i soggetti portatori di handicap;
Ø garantire il diritto all’istruzione dei figli di migranti.

9.2 Altrettanto inquietante è la controriforma dell’università avviata dal governo, che prevede tagli alle spese, la precarizzazione di intere fasce di docenti e la messa a esaurimento del ruolo dei ricercatori, un drastico accentramento di potere a vantaggio di rettori e amministratori, l’inserimento nella guida dell’università di soggetti privati, al fine di subordinare l’università e la ricerca a imprese, banche e oligarchie politiche locali.
L’obiettivo è farla finita con quanto rimane di una università pubblica di qualità e di massa, considerata un pericoloso strumento di mobilità sociale e di “egualitarismo”, e di cancellare ogni residuo di partecipazione democratica.
Condividiamo quindi, e concorriamo a costruire, la mobilitazione di studenti e ricercatori, in atto in Italia e in Europa, contro la privatizzazione dell’università e della ricerca e siamo con i movimenti, come l’onda e gli insegnamenti precari, che si battono per questi obiettivi.
Al tempo stesso riteniamo necessario un profondo rinnovamento dell’università italiana. L’università pubblica, per essere di massa e di qualità, deve garantire a tutti il diritto allo studio e l’accesso alla condivisione dei saperi, privilegiare la ricerca, prevedere l’obbligo di tempo pieno per tutti i docenti, superare l’autoreferenzialità del ceto accademico, combattere ogni fenomeno di parassitismo, ponendo fine a esperienze fallimentari di microatenei, alla pletora di corsi di laurea, alla moltiplicazione di insegnamenti, ogni volta che ciò appaia espressione non di una diffusione della conoscenza, ma di clientelismo accademico.
La garanzia del diritto allo studio richiede l’abolizione del numero chiuso per l’accesso, l’esenzione del pagamento delle tasse di iscrizione per le famiglie a basso reddito, agevolazioni per gli studenti lavoratori e fuori sede, l’effettiva disponibilità per tutti gli studenti di adeguate infrastrutture logistiche e didattiche, il superamento del doppio livello (cosiddetto 3 più 2).
La spesa pubblica italiana per la ricerca, pari all’1,1% del PIL, è largamente inferiore alla media europea del 2% e all’obiettivo del 3% fissato per il 2010 dall’Europa. A sua volta, l’impresa privata italiana ha il record negativo degli investimenti in ricerca: lo 0,55% del PIL, contro ad esempio l’1,83% della Germania. L’obiettivo delle classi dirigenti è quindi quello di privatizzare la ricerca, utilizzando fondi pubblici (con lo strumento della fondazione-università) per porla al servizio dell’impresa. Questa prospettiva contrasta con il principio del valore universale della conoscenza, ed è di corto respiro in un sistema paese che avrebbe bisogno di consolidare la propria economia investendo in ricerca, per competere nel mercato globale fondandosi sulle risorse intellettuali dell’Italia, e non sulla riduzione dei salari e dei diritti dei lavoratori.

9.3 Consideriamo particolarmente grave l’attacco del governo alla cultura, alla sua autonomia e libertà, che si è manifestato anche con i pesanti tagli previsti dalla manovra. Si vogliono colpire strumenti insostituibili di formazione, di coscienza e consapevolezza critiche.
Le politiche di privatizzazione della cultura vanno combattute. Compito dello Stato è infatti sostenere la produzione culturale, sottraendola alla logica della mercificazione, attraverso adeguati stanziamenti, la garanzia dell’autonomia e del pluralismo, la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori della cultura.

10) DIRITTI CIVILI E LAICITA’ DELLO STATO

All’attacco alla democrazia, ai diritti del lavoro, allo stato sociale in corso in Italia si accompagna un attacco ai diritti civili e al principio della laicità dello Stato senza paragoni in Europa.
Come in passato, negli anni ’60 e ’70, le lotte per la giustizia sociale e per la liberazione da strutture gerarchiche e autoritarie portò a una stagione di riforme nelle quali avanzarono insieme diritti sociali, diritti dei lavoratori e diritti civili (come il divorzio, il nuovo diritto di famiglia, la legge sull’interruzione di gravidanza), così oggi, al contrario, l’arretramento e le tendenze pesantemente regressive riguardano l’intero arco dei diritti.
Il principio della laicità dello stato non costituisce per noi ragione di un conflitto tra credenti e non credenti. Il dialogo chiede la costruzione di un comune convincimento secondo il quale nessuno può imporre un punto di vista culturale, ideale o religioso con pretesa di assolutezza. Il pluralismo, se ancorato ai valori sanciti dalla Costituzione, non è nichilismo, ma confronto tra ragioni diverse, nessuna delle quali può avere la pretesa di prevalere sulle altre. In una democrazia, e all’interno del quadro costituzionale, il pluralismo è un valore che richiede un dibattito pubblico aperto.
Di fronte alle nuove frontiere che scienza e medicina pongono per la procreazione, la morte e la vita, riteniamo che debba essere garantito il principio dell’autodeterminazione della persona, nell’ambito di regole che ne assicurino l’effettività.
Vanno protetti i diritti di coloro che sono discriminati a causa della loro origine etnica, orientamento sessuale ed identità di genere, religione, ideologia, disabilità, età.
L’effettivo superamento delle discriminazioni derivanti dall’orientamento sessuale e dell’omofobia richiede che l’ordinamento giuridico italiano riconosca il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Non è ammissibile che l’Italia sia uno dei pochissimi paesi europei che rifiuta il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali.
Di una moderna civiltà giuridica fa parte il riconoscimento dei diritti dei migranti, sottoposti oggi a pesanti discriminazioni, a condizioni di lavoro umilianti e troppo spesso illegali, ed esposti agli attacchi razzisti e xenofobi.
Le politiche di respingimento violano il diritto di asilo previsto dalla Costituzione ed espongono coloro che ne sono vittime a gravissimi rischi, che possono riguardare la stessa sopravvivenza fisica. Per questo chiediamo nuove politiche europee e italiane sull’immigrazione, e la sostituzione dei centri di detenzione con strutture che rendano possibile l’inserimento in condizioni civili nella vita del Paese. Siamo favorevoli al riconoscimento del diritto di voto amministrativo agli immigrati residenti.


11) PER LA PACE, PER IL DISARMO

11.1 L’impegno per la pace, contro la guerra e ogni forma di imperialismo e neocolonialismo, per il disarmo è un valore fondante della Federazione della Sinistra.
La globalizzazione neocapitalistica ha comportato il crescente ricorso alla forza militare e alla guerra per garantire all’Occidente, egemonizzato dagli Stati Uniti, il controllo di risorse e mercati e per affermare il proprio dominio politico, economico e culturale.
La crisi economica ha cambiato gli equilibri geopolitici mondiali, e ciò aumenta il rischio di tensioni e conflitti per l’accesso alle materie prime.
Ma le guerre derivano anche dalla povertà e dalla repressione, generano altri conflitti militari, etnici e religiosi, e alimentano il fondamentalismo e il terrorismo.
Dopo la caduta del muro di Berlino, lo scioglimento del Patto di Varsavia e la fine della guerra fredda, invece di promuovere la pace, rafforzare e riformare l’ONU come sede della soluzione politica delle controversie internazionali, gli USA e i paesi occidentali, con decisioni sia unilaterali che multilaterali, hanno ripetutamente violato il diritto internazionale, delegittimato l’ONU e trasformato la NATO in uno strumento di guerra e di aggressione al di fuori dei propri confini. Per questo siamo per l’uscita dell’Italia dalla NATO, per lo scioglimento di essa e perché l’Unione europea, finora drammaticamente priva di una politica comune, adotti una politica europea di sicurezza e di pace.

11.2 Le guerre degli anni ‘90 e del primo decennio del nuovo millennio, utilizzando come pretesti la lotta al terrorismo e a “stati canaglia” e perfino la difesa dei diritti umani, hanno destabilizzato il mondo e accresciuto tensioni e contrapposizioni, con il fine di occupare territori strategicamente rilevanti per le risorse energetiche e naturali.
Anche i governi italiani hanno partecipato a questi interventi, prima nei Balcani poi nell’Iraq (dal quale, anche per nostra iniziativa, il secondo governo Prodi ha poi ritirato il contingente italiano), oggi in Afghanistan. Questi interventi sono in contrasto con il principio di pace posto dall’art. 11 della Costituzione, per il quale l’Italia ripudia la guerra e opera per la soluzione politica dei conflitti internazionali.
Siamo per il ritiro unilaterale del contingente italiano in Afghanistan e per la costruzione in quel paese di una alternativa politica, sotto il controllo dell’ONU, per passare dall’impegno militare a un impegno politico e civile a fianco delle popolazioni vittime dell’oppressione e della guerra, come chiede la Rete delle donne afghane. Gli oltre 550 milioni di euro spesi ogni anno dall’Italia per mantenere la missione vanno devoluti alla cooperazione, al sostegno del processo di pace e all’assistenza alle popolazioni.
Proponiamo la chiusura delle basi militari straniere in Italia e l’abrogazione del segreto e delle prerogative governative sottratte al parlamento dai trattati stipulati nel periodo della guerra fredda.
Chiediamo l’immediata rimozione del blocco immorale e illegittimo imposto dagli USA a Cuba, più volte condannato dall’Assemblea generale dell’ONU.
Nel mondo sono in corso molti conflitti armati. Palestina, Kurdistan, Sahara Occidentale, Colombia, Messico sono solo alcuni esempi. Crescente tensione sta determinando in America Latina la riattivazione della IV Flotta e l’istituzioni di basi militari USA in Colombia. Noi sosteniamo le proposte di soluzione politica e negoziata di tali conflitti. Chiediamo l’abolizione della “lista delle organizzazioni terroristiche” compilata dall’UE.

11.3 Il principale fattore di crisi internazionale e di guerra è oggi costituito dalla mancata soluzione della questione israelo-palestinese. Eppure la pace in quelle terre sarebbe decisiva per porre fine alla stagione dello scontro di civiltà. L’attuale governo israeliano mostra con inaccettabile determinazione la volontà di non procedere nel processo di pace, che deve fondarsi sul ritiro dai territori occupati e su garanzie reciproche di sicurezza, in base al principio “due popoli due stati”. A tal fine gli insediamenti coloniali in territorio palestinese devono essere smantellati, e l’embargo a Gaza va tolto immediatamente. La Federazione della Sinistra è a fianco del popolo palestinese nella sua lotta per il diritto all’autodeterminazione, come previsto da decenni da ripetute risoluzioni dell’ONU.
Nuove inquietanti minacce di guerra si profilano con riferimento all’Iran. Un attacco a quel paese determinerebbe devastanti e inimmaginabili conseguenze. La soluzione negoziale del contenzioso richiede la rinuncia all’arma nucleare da parte di tutti i paesi dell’area, compreso Israele.
Per questo va sostenuta la proposta che è stata avanzata in questo senso da molti paesi del Medio oriente. Ciò costituirebbe il primo passo per l’obiettivo della distruzione di tutti gli ordigni nucleari da parte di tutti gli Stati che ne sono dotati. Siamo per un pianeta denuclearizzato.
La pace e il disarmo sono grandi obiettivi, per i quali si battono importanti movimenti di tutti i continenti. Noi ce ne sentiamo parte, secondo la tradizione internazionalista della sinistra italiana, così come siamo con tutte le forze che nel mondo si battono per la pace, la giustizia sociale, l’equilibrio ambientale e alimentare.
12) UNA COSTITUENTE PER L’EUROPA DEMOCRATICA

E’ in atto un violento attacco all’Europa come soggetto politico e agli ultimi bastioni dello stato sociale in Europa.
Ciò rende ancor più necessaria la costruzione di un’alternativa politica e sociale su scala europea. Le risposte che l’Unione Europea, di concerto con il Fondo monetario internazionale, ha dato fino ad oggi alla crisi non solo evidenziano tutti i limiti dell’attuale costruzione europea, ovvero il suo carattere a-democratico, la sua natura classista e liberista, la sua subalternità all’atlantismo, ma approfondiscono queste tendenze di fondo, come dimostra il progetto di nuove modifiche ai trattati.
Si vuole per tale via scaricare sullo stato sociale e sulla maggioranza della popolazione europea i costi della crisi, oltre che sottrarre agli stati sovranità democratica nelle decisioni in materia di bilancio.
E’ follia ripercorrere la stessa strada che ha portato alla crisi, nell’illusione che liberismo, monetarismo, riduzione della spesa sociale possano determinare la ripresa economica. Una ricetta sbagliata oltre che ingiusta e disastrosa socialmente. Occorre un’altra strada, costruire un’altra Europa.
Proponiamo, anche a partire dal programma comune per le elezioni europee, una rifondazione democratica e sociale dell’Unione europea, su basi opposte a quelle monetariste e liberiste, che hanno avuto e continuano ad avere nella grande coalizione formata da socialisti, popolari e liberali europei la base di consenso politico che è all’origine del ventennio neoliberista. Un patto politico che è stato purtroppo riaffermato con la condivisione bipartisan dei piani di austerità e del vero e proprio “golpe monetario”, con la proposta di riforma del patto di stabilità, volta alla distruzione del modello sociale europeo. Queste le nostre proposte.

Ø Sostituire il Patto di stabilità con un patto per la piena occupazione e la riconversione sociale ed ambientale dell’economia.

Ø La socializzazione del sistema bancario e finanziario, con il controllo pubblico del credito.

Ø La ridefinizione dello statuto e della missione della Banca centrale, che va sottoposta ad un controllo democratico.

Ø L’armonizzazione dei sistemi fiscali dei paesi europei, fondata sul principio della progressività delle imposte.

Ø Un piano europeo per la ripubblicizzazione di quanto privatizzato, a partire da beni comuni e servizi pubblici essenziali, come l’educazione , la salute, l’acqua , l’energia, i trasporti.

Ø L’introduzione della Tobin Tax per tassare i capitali speculativi e l’abolizione dei paradisi fiscali.

Ø Un piano per la piena occupazione, con la creazione di un fondo finanziato con la tassazione della speculazione finanziaria e della rendita.

Ø Il blocco dei licenziamenti e delle delocalizzazioni. Le imprese che usufruiscono di contributi pubblici non devono licenziare o usare questi fondi per spostare le produzioni.

Ø Un salario minimo europeo e un reddito sociale.

L’attuale assetto istituzionale dell’Unione non consente la realizzazione di questi obiettivi. I trattati vigenti lo impediscono, e affidano il potere effettivo ai governi, ai tecnocrati, ai burocrati, sottraendolo ai popoli europei.
Per questo alla lotta sociale si collega la necessità di rendere democratica l’Unione.
Avanziamo la proposta di una Assemblea costituente europea, eletta direttamente dalle cittadine e dai cittadini europei, che abbia il potere di riscrivere i trattati e di dare all’Unione basi democratiche.
La sottrazione di sovranità democratica e popolare operata negli anni ha costruito un’Europa burocratica e tecnocratica. Vogliamo un cambiamento profondo che spazzi via l’Europa dei banchieri e delle multinazionali, per costruire l’Europa sociale, democratica e dei popoli. Per queste ragioni la Federazione della Sinistra si colloca con le forze politiche che in Europa si riconoscono nel Gue e nel Partito della Sinistra Europea, e insieme a loro lavora alla costruzione di un fronte sociale e politico antiliberista anche nel nostro continente.



III

13) IL CASO ITALIANO: UNA DESTRA EVERSIVA

Il centro destra italiano presenta il volto peggiore e più inquietante, senza paragoni in Europa, delle tendenze regressive del capitalismo contemporaneo.
L’attacco alla Costituzione, la delegittimazione di ogni soggetto costituzionale che non sia il capo del governo (dal Parlamento alla Corte Costituzionale, dalla Magistratura fino alla stessa Presidenza della Repubblica), il disprezzo per la legalità, la tolleranza per la corruzione colpiscono al cuore i principi e la logica stessa della democrazia. Questi attacchi stanno incidendo sul senso comune degli italiani, creando consenso intorno a una concezione e a una prassi plebiscitarie e autoritarie della democrazia.
Il controllo del sistema radiotelevisivo mina il diritto dei cittadini ad una informazione pluralista: si conferma il serio errore compiuto dai governi del centro sinistra nel non approvare la legge sul conflitto di interessi.
Aldilà delle dichiarazioni di intenti, e della positiva azione della magistratura e delle forze dell’ordine, la presenza nel governo di esponenti indagati per collusione con la criminalità organizzata dimostra che non si vuole colpire a fondo il sistema mafioso, che ha la sua forza proprio nel rapporto con il potere politico e finanziario. Il risultato drammatico è che la mafia continua a esercitare il suo potere in vaste aree del Mezzogiorno, con una sospensione di fatto dello Stato di diritto e della stessa democrazia.
Parallelamente prosegue l’attacco allo stato sociale, ai diritti dei lavoratori e ai più elementari criteri di giustizia sociale, come risulta dai contenuti della manovra finanziaria. La volontà di mettere mano all’art. 41 della Costituzione rappresenta il vero e proprio manifesto della volontà di colpire la sostanza stessa della Prima parte della Carta fondamentale.
C’è un rischio grave per la democrazia del nostro Paese, che può persino richiamare per alcuni aspetti il ricordo del fascismo, sconfitto dalla lotta di Resistenza e dalla conquista della Costituzione repubblicana.
Il berlusconismo trova il suo terreno di coltura e il suo referente sociale nel capitalismo italiano, che a sua volta si è rivelato nell’ultimo ventennio uno dei più regressivi a livello internazionale, avendo puntato, invece che su investimenti in innovazione e ricerca, sulla compressione dei salari, dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e sull’evasione fiscale.
Di fronte a questa involuzione autoritaria, che ripropone il sovversivismo delle classi dominanti italiane, è necessario lanciare l’allarme e invitare all’unità tutte le forze politiche, sociali e culturali, per realizzare un largo fronte di opposizione.
Va condotta una battaglia culturale, per costruire un nuovo senso comune, che contrasti il revisionismo dilagante e i processi di passivizzazione portati avanti attraverso il sistema massmediatico.
Ancora più grave è la situazione se si considera la presenza e il ruolo determinante nella maggioranza di governo della Lega. Questa formazione politica rappresenta la versione italiana del populismo xenofobo che si viene purtroppo diffondendo in Europa, aggravato da un secessionismo strisciante mai apertamente rinnegato. Il ruolo determinante della Lega al governo spinge per un federalismo antisociale ed antiegualitario, del quale il federalismo fiscale è il primo tassello. Si determina un vero rischio, che non deve essere in alcun modo sottovalutato, per l’unità nazionale.
In definitiva, questo governo e questa maggioranza vogliono, con la connivenza o l’inerzia dei potentati economici e finanziari, consolidare il proprio potere sulla base del degrado democratico e sociale e della divisione del Paese.


14) IL CASO ITALIANO: LA CRISI DELLA SINISTRA

14.1 A determinare l’emergenza democratica e sociale dell’Italia hanno concorso le scelte della sinistra italiana nell’ultima fase: scelte evidentemente sbagliate, errori da non ripetere, se oggi in Italia le forze a sinistra del PD sono fuori dal Parlamento nazionale ed europeo, divise e frammentate; e se la parte maggioritaria del PDS è confluita in un nuovo partito che rifiuta di definirsi di sinistra. Il risultato è l’altra faccia del caso italiano oggi: il paese europeo che aveva la sinistra più forte, rischia ora l’assenza di una sinistra degna di questo nome. E’ la necessità di reagire a questa situazione la ragione prima della nascita della Federazione della Sinistra.
Nel corso degli anni ’90 gran parte dei partiti socialisti e socialdemocratici hanno accettato la logica del capitalismo e hanno sposato e spesso attuato dal governo le politiche neoliberiste. Hanno così scelto di competere al centro, e di privilegiare gli interessi imprenditoriali, rinunciando al compito di rappresentare gli interessi dei ceti popolari. In Italia il PDS, poi DS, ha seguito questo percorso.
A questa scelta si sono accompagnate scelte istituzionali (il bipolarismo maggioritario e parapresidenzialista, la subalternità al federalismo leghista), per poi subirne le conseguenze con le ripetute vittorie della destra. Tutto ciò ha prodotto un circolo vizioso fatto di delusioni dell’elettorato di centrosinistra e di successi della destra, ai quali si è risposto con processi politici che alla fine hanno prodotto un partito, il PD, che nega esplicitamente di essere di sinistra e che ha proposto l’obiettivo del bipartitismo come approdo della transizione del sistema politico italiano.
La nuova segreteria del PD sembra aver superato l’idea dell’autosufficienza e dal bipartitismo. Sul versante delle politiche economiche e sociali, nonostante l’emersione di accenti diversi rispetto al passato, non è messo in discussione l’orientamento di fondo, e in particolare la scelta aclassista, come dimostrano le posizioni assunte sullo sciopero della Cgil e su Pomigliano.
Attrazione crescente anche sull’elettorato di sinistra esercita l’Italia dei Valori. Essa appare la forza parlamentare più determinata nell’opposizione a Berlusconi. Ma l’ambiguità su questioni fondamentali come la politica estera, la politica economica e sociale, i diritti civili, la spinge a scelte profondamente sbagliate, come il voto favorevole sul federalismo fiscale o la promozione di una campagna referendaria alterativa a quella promossa dai Comitati contro la privatizzazione dell’acqua.

14.2 Quanto alle forze politiche a sinistra del PD, pesano gli errori commessi negli ultimi dieci anni. Una grande stagione di mobilitazione su temi propri della sinistra aveva caratterizzato l’inizio del decennio: il movimento altermondialista e quello per la pace, la battaglia condotta dalla Cgil sull’art. 18 dello Statuto e quella dei “girotondi” a difesa della legalità democratica. Furono movimenti che coinvolsero diversi milioni di italiane e di italiani, e videro un’opinione pubblica largamente favorevole. Ma se i partiti dell’Ulivo agirono più o meno apertamente per non dare seguito a questi movimenti, che non rispondevano al loro orientamento politico e sociale moderato, le forze della sinistra operarono alla fine, in vista delle elezioni politiche del 2006, una riduzione istituzionalista, accettando in pieno il quadro bipolare, nell’illusione che bastasse condividere un programma di governo per sciogliere i nodi politici e le differenze di impianto con gli altri partiti della coalizione.
La difficoltà emerse già in campagna elettorale, tanto che il risultato del voto fu in termini numerici di sostanziale pareggio, e solo il premio di maggioranza consentì all’Unione di disporre della maggioranza alla Camera, ma non al Senato.
Dopo il voto, all’interno del governo prevalsero tendenze moderate o apertamente monetariste. Sarebbe stato necessario allargare il consenso negli strati popolari, attuando la parte più avanzata del programma. Prevalse invece, la “politica dei due tempi”, con la manovra e la prima legge finanziaria del governo Prodi.
Si creò così scontento e delusione nell’elettorato di sinistra. Quando poi la componente moderata della maggioranza diede vita al PD, e il segretario di questo partito diede il colpo di grazia al governo proclamando la scelta di rompere l’alleanza, la reazione della parte prevalente della sinistra fu di accettare quella che fu definita una “separazione consensuale”.
La crisi di governo fu aperta a destra, ma le responsabilità furono accollate alla sinistra. Quando questa poi si presentò alle elezioni con un cartello elettorale con un simbolo e nome del tutto inediti, che cancellavano anche graficamente le identità e la storia delle forze che la componevano, milioni di elettori le tolsero il consenso, in parte astenendosi, in parte attratti dall’illusoria sirena del voto utile.
Nella fase successiva, prevalse la triste logica della scissione e della divisione a sinistra. Le elezioni europee e poi quelle regionali e amministrative hanno dimostrato che esiste un consenso, tra le varie formazioni della sinistra, che supera i 2 milioni di elettori e il 6% dei voti. Ma la divisione ha impedito a questo consenso di eleggere propri rappresentanti nel parlamento europeo e in molti consigli regionali e locali.
La diversità tra la nostra piattaforma e il nostro progetto politico rispetto a quello di Sel non va negata e nemmeno sottovalutata.
In particolare, riteniamo che la sinistra debba costituire un polo autonomo, e non una componente del centrosinistra, interna alla logica del bipolarismo. E non condividiamo una visione e una prassi lideristica e plebiscitaria della politica.
Tuttavia ciò non può e non deve impedire una unità di azione a sinistra, possibile per battaglie su temi condivisi (come dimostrato dal comune giudizio sulla manovra e su Pomigliano), e per affrontare in modo convergente le prossime elezioni amministrative.
Il nostro invito unitario si rivolge a tutti i soggetti politici (come Sel, Sinistra Critica, Pcl, Rete dei Comunisti) e sociali, che condividono la necessità di un cambiamento profondo della società e del rilancio della democrazia.
Naturalmente il recupero del consenso elettorale, necessario perché la sinistra disponga della “massa critica” per contare, incidere, essere credibile davanti ai lavoratori e al Paese, non può limitarsi all’unità tra le forze politiche della sinistra. L’astensionismo crescente, movimenti come quello “Cinque stelle”, che contestano il sistema politico nel suo insieme, ma sono attraversati da temi di sinistra, la rete dei comitati e delle associazioni presenti nel paese, luoghi del conflitto sociale, e soprattutto gli operai, le lavoratrici e i lavoratori colpiti dalla crisi: è qui uno straordinario terreno di impegno, certamente difficile da praticare, ma indispensabile per ridare alla sinistra italiana la forza e il peso che nella storia del nostro Paese sono sempre stati decisivi per consentire l’avanzamento della democrazia e dei diritti.

15) AUTONOMIA DELLA SINISTRA E UNITA’ DEMOCRATICA

15.1 Nel rapporto con le altre forze politiche dell’attuale opposizione ribadiamo anzitutto l’autonomia della sinistra. Autonomia di pensiero e di giudizio critico sul capitalismo; autonomia nella pratica sociale, nel rapporto con le lotte, con i movimenti, con le associazioni; autonomia politica e programmatica. Autonomia dal sistema quindi: e per questo parliamo di “sinistra di alternativa”.
Autonomia politica vuol dire anche la consapevolezza che solo una sinistra forte autonoma e unita può evitare la subalternità alle forze moderate oggi dominanti nel centro sinistra; e che ciò è possibile solo attraverso il superamento del “bipolarismo coatto”.
Autonomia non significa naturalmente rinunciare alla prospettiva unitaria, che sempre è stata un punto di forza della sinistra italiana. Dall’opposizione, unità vuol dire anzitutto iniziative e mobilitazioni comuni contro il governo e a difesa della democrazia.
Di fronte all’inquietante offensiva antidemocratica e antisociale del governo, la mobilitazione e la protesta non può essere affidata esclusivamente ai soggetti sociali e istituzionali direttamente colpiti, né è sufficiente che le singole forze di opposizione agiscano ciascuna per sé, magari nell’illusione che le divisioni, che pure esistono, all’interno della maggioranza possano frenare l’attività eversiva del governo e creare lo spazio in questa legislatura a nuovi schemi politici.
Per i partiti di opposizione è un dovere nei confronti del Paese dare vita a una mobilitazione unitaria che, rispettando la diversità di posizioni programmatiche, manifesti con determinazione la volontà di battersi a difesa dei valori e dei diritti sanciti dalla Costituzione. E’ il dovere di reagire contro il rischio di passività politica, che può diffondere nel Paese il convincimento di una opposizione debole, divisa e incapace di contrapporsi efficacemente all’azione eversiva del governo. La mobilitazione unitaria dell’opposizione è necessaria per dare invece un segnale di fiducia e di speranza ai milioni di italiane e di italiani che chiedono di sconfiggere questo governo e impedire che la compressione delle libertà e dei diritti sociali e dei lavoratori e l’attacco alla Costituzione siano portati a compimento.
Per questo proponiamo, in primo luogo, a tutte le forze a sinistra del PD di dar vita a un tavolo per costruire insieme la massima forma di unità possibile, contro le politiche del governo, del padronato e dell’Europa, invertendo la tendenza alla divisione e alla contrapposizione.
Proponiamo, inoltre, il massimo di unità contro il governo Berlusconi tra tutte le forze dell’opposizione politica e sociale, anche dando vita a un coordinamento permanente delle opposizioni.

15.2 Per quanto riguarda le prossime elezioni politiche, per le ragioni sopra esposte, non riteniamo esistano le condizioni per un comune programma di governo e per la partecipazione al medesimo della Federazione. La diversità profonda di impostazione programmatica con il PD determinerebbe per la sinistra il rischio della subalternità, oppure di una continua conflittualità.
Ciò non vuol dire naturalmente essere indifferenti rispetto allo schieramento che prevarrà in una competizione elettorale, che tutto lascia prevedere destinata a svolgersi con l’attuale legge elettorale maggioritaria. Il nostro giudizio sul carattere eversivo della destra italiana non lo consente.
Come scrisse Antonio Gramsci nel 1925, “il Partito Comunista non può disinteressarsi della forma del governo borghese sotto il quale esso deve svolgere la sua azione. D’altra parte le masse che noi dobbiamo convincere e conquistare non ci comprenderanno mai se con la nostra tattica elettorale noi favoriremo il trionfo della peggiore reazione”.
Per questo proponiamo di dar vita, costruendola da oggi, a una coalizione democratica per sconfiggere Berlusconi e Bossi, sulla base di una piattaforma di ripristino e di rinnovamento della nostra democrazia: la più rigorosa difesa dei diritti democratici, sociali e dei lavoratori e delle lavoratrici, previsti dalla Costituzione, una legge elettorale di impianto proporzionale, la legge sul conflitto di interessi, regole rigorose su questione morale, etica pubblica e principio di legalità.

IV

16) LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA E I GIOVANI: UNA SINISTRA CON LO SGUARDO RIVOLTO AL FUTURO

16.1 L’Italia non è destinata ad essere governata per sempre dal triste connubio tra casta, cricca, e, troppo spesso, criminalità organizzata. I giovani non sono destinati a un futuro di precarizzazione del lavoro e della vita stessa. Secondo gli ultimi dati in Italia un giovane su tre è disoccupato; dei giovani che lavorano, uno su due è precario; i salari sono i più bassi d’Europa. La mobilità sociale è bloccata.
Si può e si deve reagire. Dare ai giovani la prospettiva di un futuro diverso, di un’Italia giusta e onesta è il nostro primo obiettivo. A tal fine è centrale la battaglia per il rinnovamento della politica.
Enrico Berlinguer comprese che la questione morale è un cancro che corrode la democrazia, non solo un problema di codice penale. Lanciò l’allarme e indicò la via di un profondo rinnovamento dei partiti basato sull’allargamento della democrazia.
Avrebbe potuto essere una grande occasione per la sinistra. Ma dopo l’esplosione di tangentopoli si è seguita la via opposta, quella di una ristrutturazione del sistema istituzionale, elettorale e amministrativo che, restringendo gli spazi di democrazia, ha creato le condizioni per l’aggravamento della questione morale.
Questa ristrutturazione è stata condotta all’insegna di uno pseudo presidenzialismo plebiscitario, per il quale il potere si deve concentrare a tutti i livelli nell’”eletto dal popolo”, di un malinteso federalismo e dell’ideologia istituzionale del neoliberismo, che hanno eliminato ogni genere di controllo e deregolato l’esercizio del potere (con le “procedure in deroga” del sistema della Protezione Civile sono stati spesi dal 2001 oltre 13 miliardi di euro). Il risultato è stato il dilagare della illegalità, mentre l’unica forma di controllo è affidata al processo penale.
Lo smantellamento dei partiti tradizionali, delle loro storie e identità, ha concorso a sradicare la politica dalla sua funzione alta, ha incentivato il trasformismo e il clientelismo, facendo prevalere la ricerca del potere ad ogni costo.
Si propongono ora rimedi ancora peggiori, come la riduzione del numero dei componenti delle assemblee elettive; mentre non è la rappresentanza a dover essere colpita, ma le prebende, i privilegi, gli sprechi, gli strumenti del clientelismo, che non vengono invece nemmeno sfiorati.
L’impegno sulla questione morale è pertanto una delle ragioni fondamentali della battaglia per il rinnovamento della politica, contro il bipolarismo e per le riforme democratiche che proponiamo. La questione morale riguarda Berlusconi, ma non solo lui: coinvolge ormai larghi settori del sistema politico. La battaglia per l’indipendenza della magistratura è per noi la difesa non dei privilegi di un ceto, ma del diritto della cittadina e del cittadino a una giustizia efficiente e uguale per tutti, contro le pretese di autotutela delle oligarchie.
La questione morale riguarda la politica, ma non solo la politica: larga parte delle classi dirigenti economiche, finanziarie e burocratiche ne sono coinvolte. Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa agli italiani oltre 60 milioni di euro l’anno. Se si aggiunge il costo dell’evasione fiscale, si comprende che se le oligarchie dirigenti rispettassero il principio di legalità, i conti pubblici sarebbero perfettamente in ordine e vi sarebbero anzi risorse da destinare alla spesa sociale.
Particolarmente grave in questo quadro è l’intreccio perverso tra politica, affari e mafia. Ciò determina in vaste aree del Mezzogiorno una vera e propria sospensione della democrazia e dell’idea del lavoro come diritto.

16.2 Cambiare questo stato di cose richiede l’impegno, anzitutto a sinistra, per ridare significato ideale alla politica, per rendere attrattiva la militanza nei partiti. Senza partecipazione democratica, senza una forte tensione ideale, i partiti si riducono a strumenti nelle mani di poche persone e la militanza si trasforma spesso in carrierismo.
Nell’impegno per il rinnovamento della politica, dobbiamo partire anzitutto da noi stessi. Non possiamo pensare di essere immuni dai fenomeni degenerativi. E’ serio il rischio che anche la sinistra sia avvertita come “interna” a un sistema politico corrotto e separato dai bisogni sociali, e per questo completamente contraddittorio con i nostri principi, valori e programmi. La Federazione si darà pertanto regole di comportamento per candidate e candidati, elette ed eletti, e dirigenti politici, per il rispetto rigoroso non solo della legge, ma anche dei principi di etica pubblica e di sobrietà dei comportamenti, che costituivano in passato un grande patrimonio di credibilità per la sinistra italiana.
La battaglia per il rinnovamento della politica è un dovere innanzitutto verso le nuove generazioni. Il messaggio che lanciamo è di non rassegnarsi a un futuro senza speranza.
Per questo serve una sinistra unita e rinnovata anzitutto nel modo di praticare la politica; una sinistra che sappia svolgere i compiti di mobilitazione sociale, di radicamento nei luoghi di lavoro, di rapporto costruttivo e rispettoso con le tante associazioni e movimenti che operano per un’Italia diversa, a cominciare da quelle che si battono con coraggio contro la mafia, contro il razzismo, contro il neofascismo comunque mascherato. E una sinistra aperta e accogliente anzitutto per i giovani, una sinistra che sappia connettersi con le nuove forme di conflitto, ascoltare i nuovi movimenti giovanili.
La Federazione assume il compito di trasmettere alle nuove generazioni gli ideali, la speranza e la lotta per un futuro diverso, che hanno caratterizzato la sinistra italiana nel ‘900, e capace al contempo di leggere le nuove forme del conflitto. Una sinistra che insieme ai giovani costruisca gli strumenti di emancipazione individuale e collettiva e metta in campo una nuova generazione di militanti e dirigenti politici.
Siamo consapevoli che questi obiettivi devono essere conquistati, che dobbiamo costruirli insieme. Per questo diamo vita alla Federazione della Sinistra, per questo raccogliamo la sfida che la classe operaia lancia al Paese, a partire da Pomigliano: ridare all’Italia, alle lavoratrici e ai lavoratori, alle nuove generazioni, una grande forza della sinistra, moderna perché orgogliosa della propria storia, che indichi l’orizzonte di una società più giusta, di un altro mondo possibile.